Medicina e ricerca

Tumore dell'ovaio, il progetto "Toward" di Alleanza contro il cancro punta sulla diagnostica precoce

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Non esistono, attualmente, programmi di screening scientificamente affidabili per la diagnosi precoce del tumore dell'ovaio; ecco perché i risultati preliminari dello studio Toward di Alleanza Contro il Cancro, la rete oncologica nazionale del ministero della Salute presieduta dal professor Ruggero De Maria è, come spiega il responsabile del progetto, il professor Maurizio D’Incalci, dell’Istituto Clinico Humanitas di Milano, istituto associato al network, rivoluzionario: «Disponiamo di un’evidenza nuova: siccome il tumore dell’ovaio, nella maggior parte dei casi, cresce preliminarmente nella tuba, pensiamo sia possibile poter recuperare dal pap-test tracce iniziali di cellule responsabili della formazione del tumore. Siamo in possesso di prove retrospettive che attestano alterazioni molecolari risalenti anche a dieci anni prima della diagnosi di neoplasia che riteniamo, dicevo, essere all’origine della formazione del tumore. Pur valutando gli esiti dello studio inediti e positivi, è doveroso anteporre della prudenza che saremo in grado di lasciarci eventualmente alle spalle terminate le fasi di validazione retrospettiva, e prospettica. Esistono pur tuttavia le premesse – aggiunge D’Incalci con un pizzico di entusiasmo – per pensare di riuscire a fare qualcosa di veramente importante: la diagnostica in fase precoce, infatti, potrà consentirci di salvare tantissime donne perché la malattia presa in tempo è guaribile nella maggioranza dei casi».
In Italia, ogni anno, i nuovi casi di tumore dell’ovaio, che vengono diagnosticati nella maggioranza dei casi in fase avanzata perché spesso nelle fasi iniziali non provocano alcun sintomo e quindi non vengono diagnosticati, sono oltre 5 mila.
Gli step che separano i ricercatori di ACC dalla meta non sono pochi e tutt’altro che banali: «Stiamo ampliando la fase retrospettiva – racconta il ricercatore – con un numero di controlli molto più elevato, anche con prelievi longitudinali. Il passaggio successivo riguarderà l’arruolamento di donne ad alta predisposizione al tumore dell’ovaio (mutazioni germinali di brca-1 2 e/o eredo-familiare) che seguiremo sì da riuscire ad accumulare una quantità di dati ancor più significativa nei prossimi due anni. Questa fase sarà cruciale perché ci consentirà di capire in tempi relativamente brevi se il nostro test sarà applicabile a tutta la popolazione femminile italiana. Il PAP test che ora viene attuato nello screening del tumore della cervice potrà quindi essere applicato anche per la diagnosi precoce del tumore dell’ovaio e in due o tre anni, assicura D’Incalci, grazie anche alla numerosità elevata che far parte di una rete di Irccs garantisce, potremo averne la dimostrazione.
D’Incalci tiene a sottolineare che i risultati ottenuti sono il frutto di un lavoro di gruppo di diversi ricercatori dell’ Istituto Clinico Humanitas di Milano : i biologi Sergio Marchini e Lara Paracchini (la ricercatrice ha presentato i dati al settimo Annual Meeting di ACC in corso al Policlinico Gemelli di Roma), i bioinformatici Laura Mannarino e Luca Beltrame in collaborazione con Cristina Bosetti, statistica dell’Istituto Mario Negri e moltissimi clinici fra cui Robert Fruscio dell’ospedale San Gerardo di Monza, Paolo Zola della Rete Oncologica Piemontese e moltissimi ginecologi oncologi di otto dei ventotto istituti coordinati da Alleanza Contro il Cancro fra cui il Gemelli di Roma, il CRO di Aviano e la Fondazione Pascale di Napoli.
Gli oneri di ricerca sono stati sostenuti da ACC e dalla Fondazione Alessandra Bono che continuerà con il proprio contributo anche nei prossimi anni.


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