Medicina e ricerca

Oncologia: mettere in rete competenze e tecnologie per la continuità assistenziale

di Alessandra Ferretti

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Una rete oncologica per ottimizzare le diverse realtà istituzionali e rispettare le realtà esistenti in una continuità assistenziale, mettendo insieme le tecnologie e le professionalità per dare forza e dare “valore” a quello che oggi si può fare in oncologia. È il concetto che ha permeato il Congresso internazionale di Ricerca Traslazionale in Oncologia che si è tenuto a Reggio Emilia il 24 e 25 novembre, organizzato dalla Struttura Complessa di Oncologia medica dell’Ausl-IRCCS.
Il Congresso ha coinvolto oncologi da tutto il paese e dall’estero e si è svolto alla presenza dell’Assessore alle Politiche della Salute della Regione Emilia – Romagna, Raffaele Donini, il quale ha ribadito come i tassi di sopravvivenza da cancro in regione siano “tra i più alti di tutta Italia, testimonianza che disponiamo di ottimi professionisti e di un’organizzazione solida. Sarà tuttavia necessario integrare ulteriormente medicina ospedaliera e territoriale, individuando anzitutto centri di riferimento per la gestione di neoplasie particolarmente complesse e centri di riferimento adatti a seguire le cronicità e a infondere le terapie. Questo dovrà essere il nuovo concetto di organizzazione, che darà ulteriore forza al sistema, soprattutto in vista dell’aumento dei cosiddetti “survivors”, che come tali vanno seguiti e gestiti al meglio”.
Il direttore della Struttura, dottor Carmine Pinto, ha sottolineato l’importanza dell’integrazione tra pratica clinica assistenziale e ricerca: “Qui a Reggio con la rete oncologica provinciale abbiamo iniziato da alcuni anni un lavoro che sta dando i propri frutti da un punto di vista assistenziale. Al fianco della migliore assistenza, soprattutto in oncologia, c’è sempre una buona ricerca, che deve avere valore non solo in termini di efficacia, ma anche da un punto di vista economico, poiché la ricerca porta risorse alla struttura pubblica sia in termini di risparmio della sanità stessa che in termini di vantaggi di tipo sanitario”.
Ha proseguito Pinto: “La ricerca in oncologia è nata negli ospedali, è proseguita nelle aziende di unità sanitaria locali, nell’università e negli Irccs. Essa ha bisogno di tutte e tre queste gambe e di una forte condivisione e coordinamento”.
Ma vediamo quali sono stati i principali aspetti affrontati dal Congresso, dal punto di vista anzitutto delle innovazioni in oncologia.
Immunoterapia
Negli ultimi anni l’immunoterapia ha portato vantaggi di sopravvivenza e probabilmente anche di guarigione, ma si dovrà ragionare ancora sulla selezione dei pazienti, sulle resistenze, sulle terapie target e sulle modalità di accesso ai test.
Ad oggi la sfida per l’immunoterapia è capire come superare le resistenze primarie e secondarie che il paziente presenta già all’inizio o che sviluppa in corso di cura. Questo vale in particolare di fronte alle nuove combinazioni immunoterapia-immunoterapia oppure immunoterapia con gli inibitori della tirosin-chinasi (TKI: molecole che, legandosi alle proteine tirosin-chinasi, possono arrestare i meccanismi di trasferimento del segnale e quindi anche la progressione tumorale) oppure, ancora, con immunoterapia in combinazione con altri farmaci.
Quando considerare guarito un paziente
Ma quando un paziente può essere considerato guarito? E come procedere con i trattamenti sui cosiddetti “survivors”? È il quesito che ha posto il professor Michele Maio, direttore del Centro di Immuno-Oncologia e del Dipartimento Oncologico dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria Senese: “Quando un paziente con malattia metastatica per sei anni presenta una risposta completa può essere considerato guarito? Possiamo interrompere l’immunoterapia?”.
Ancora oggi non si possiedono certezze in questo ambito: si dovrà ragionare sui risultati raggiuti ma anche per i cosiddetti “survivors”, su come gestire la cronicità. Ed è importante perché anche quelle immunologiche sono terapie che possono incidere sulla qualità vita del paziente con le relative tossicità. Ad oggi sono disponibili alcune evidenze solo nel melanoma metatastatico, cronologicamente la prima patologia che ha ottenuto risultati importati e a lungo termine con l’immunoterapia.
Il machine learning applicato alla clinica
Machine learning e intelligenza artificiale applicate alla clinica possono dare ottimi frutti. Ne ha parlato il professor Vincenzo Valentini, direttore del Dipartimento di Diagnostica per Immagini, Radioterapia Oncologica e Ematologia dell’Irccs Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, che ha riportato la propria esperienza per illustrare come i dati, recuperati dagli archivi e strutturati dal punto di vista informatico, possano permettere di definire vere e proprie strategie diagnostico-terapeutiche in oncologia.
Al Policlinico Gemelli l’intelligenza artificiale è stata utilizzata infatti in diversi ambiti, dall’imaging agli esami di laboratorio, ai test clinici. I diversi setting dei milioni di dati già disponibili dalla normale pratica clinica sono stati inseriti e elaborati in una piattaforma che potrà supportare il clinico nelle proprie scelte, con una modalità similare a uno studio clinico su amplissimi numeri.
Non si è rivelata affatto secondaria, tra i progetti condotti al Gemelli, la valutazione emotiva del paziente e l’opportunità di mettergli a disposizione strumenti come la musica o i film preferiti, che possano facilitarne il rapporto con i trattamenti. È emerso infatti che anche questo concorre ad un input positivo sugli outcomes dei trattamenti stessi.
L’intelligenza artificiale e il suo utilizzo a favore della pratica clinica è il tema affrontato anche dalla professoressa Lisa Licitra, Direttore della S.C. di Oncologia medica 3 “Tumori Testa - Collo” alla Fondazione Irccs Istituto Nazionale Tumori e professore associato al Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università degli Studi di Milano, nonché punto di riferimento italiano per gli studi sulle patologie del testa-collo. Secondo Licitra, l’enorme mole di dati già disponibili può permettere di definire il comportamento in scelte cliniche anche in alcune situazioni critiche relative all’applicazione o al proseguimento di trattamenti.
Angiogenesi e terapie antiangiogeniche
Sulle terapie antiangiogeniche è intervenuto lo scienziato di origine catanese Napoleone Ferrara, che per primo nel 1989 ha clonato e purificato in laboratorio negli Stati Uniti la proteina poi chiamata Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF) che interviene nell’angiogenesi tumorale e quindi nella crescita del tumore. Ferrara è oggi vice direttore al Moore Cancer Center dell’University of California a San Diego e professore di Patologia e Oftalmologia.
Ferrara, che ha firmato la sintesi e la produzione degli anticorpi monoclonali anti-VEGF, bevacizumab e ranibizumab, oggi standard of care del carcinoma del colon così come della maculopatia degenerativa, ha illustrato come la caratterizzazione dei processi della neoangiogenesi e quindi delle terapie anti-angiogenetiche anche in combinazione con i nuovi farmaci possa costituire una nuova visione della clinica di varie patologie.
Assetti genomici per gli studi clinici
Nella sua lectio magistralis, Melissa Davis, direttore scientifico dell’International Center for the Study of Breast Cancer Subtypes e professore associato alla Weill Cornell Medicine di New York, ha sottolineato l’importanza degli studi sulle diversità razziali, e quindi la necessità di procedere nella ricerca per identificare gli assetti genomici a legati alle diverse etnie, che si sono conservati poi nell’immigrazione delle popolazioni e che devono essere considerati all’interno delle nazioni oggi sempre più multietniche, sia nella pratica, sia negli studi clinici.
Biopsia liquida
Di biopsia liquida si è parlato come di nuova frontiera dell’oncologia, perché permetterà di tracciare una profilazione sia all’inizio che durante i trattamenti, essendo possibile modulare la terapia a seconda delle modalità con cui avvengono le modificazioni nel genoma del tumore.
Le problematiche legate alla biopsia liquida sono al momento sia di tipo tecnologico (prima tra tutte quella di rendere diffuse, accessibili e standardizzate le metodiche), che di tipo biologico (in relazione alla quantità di DNA liberato nel circolo sanguigno dal tumore).
Le potenzialità, invece, sono enormi e, anche a fronte delle patologie più diffuse come i tumori della mammella, colon-retto, polmone e prostata, va costruita una cultura comune di tecnologie, nelle fasi sia preanalitica che analitica. Non ultimo, poi, il sistema andrebbe reso facilmente fruibile.
Ad oggi sono disponibili già risultati importanti della selezione dei pazienti, come ad esempio per la terapia post-chirugica adiuvante nel carcinoma del colon-retto, o per la scelta di terapie a target molecolare nell’adenocarcinoma del polmone avanzato.
La malattia residua minima
All’utilizzo della biopsia clinica si collega anche il concetto della malattia residua minima (MRM), termine preso in prestito nei tumori solidi da quanto già consolidato in ematologia (vedi mieloma o linfomi) e che consiste nel valutare la persistenza di malattia neoplastica sub-clinica dopo chirurgia o trattamenti medici antineoplastici e nelle strategie per identificale e eradicarla, con l’obiettivo della guarigione del paziente e anche di evitare over-treatment. Per molti tumori anche ad importante impatto epidemiologico come il tumore della mammella e del polmone si stanno sviluppando trattamenti post chirurgici (immunoterapia e terapia a target molecolare), mentre diverso è il discorso del tumore dell’ovaio, per il quale non è stata ancora definita, ma su cui prosegue il lavoro di studio e ricerca.


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