Medicina e ricerca

Vivere bene con la fenilchetonuria: una nuova indagine su pazienti e caregiver per rispondere ai bisogni insoddisfatti

di Valentina Rovelli *

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24 Esclusivo per Sanità24

Vivere bene con la PKU è possibile, ma, secondo i dati di una nuova survey condotta su pazienti e caregiver, è necessario considerare con attenzione le necessità dei pazienti e la situazione clinica di ognuno così da individuare la soluzione più adatta e portarla avanti nel corso della vita grazie a una solida alleanza terapeutica, valorizzando le innovazioni terapeutiche che la ricerca mette a disposizione.
Per comprendere meglio il punto di vista del paziente affetto da PKU e della sua famiglia, è stata di recente condotta un’indagine, realizzata da IXE, su un campione di 241 rispondenti, tra pazienti e caregiver, coordinata dalla sottoscritta insieme ad Annamaria Dicintio, Psicologa Clinica e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale.
Obiettivo dell’indagine, identificare gli aspetti più impattanti nella gestione della malattia e le aree in cui i pazienti potrebbero beneficiare di interventi di miglioramento, in linea con l’obiettivo di rendere il paziente affetto da PKU sempre più paragonabile a un soggetto sano, sotto ogni aspetto.
La fenilchetonuria (PKU) limita la capacità dell’organismo di metabolizzare gli alimenti proteici, in particolare quelli contenenti la fenilalanina (Phe), che, se accumulata, può portare nel tempo a effetti tossici che influiscono sulle capacità neurologiche arrivando a causare ritardo neurocognitivo, disturbi motori (tremori, incoordinazione), disturbi del comportamento e dell’umore (iperattività, aggressività). Si tratta di una condizione che interessa circa 1 neonato su 10.000 in Europa, mentre in Italia i pazienti con PKU sono circa 4.000.
In Italia dal 1992 la PKU è inserita nello screening neonatale obbligatorio; questo ha consentito di compiere importanti passi avanti nella diagnosi precoce della malattia e nell’inserimento dei pazienti nel corretto percorso di cura. Sono però ancora molte le persone, nate prima di quella data, che hanno ricevuto una diagnosi e una dieta tardiva e a causa di questo hanno sofferto e soffrono di difficoltà cognitive al pari di chi pur diagnosticato dalla nascita non segue il regime ipoproteico necessario.
Dall’indagine è emerso che i sintomi più diffusi per chi soffre di PKU in assenza di una corretta aderenza ai trattamenti sono l’agitazione/ansia, che colpisce quasi metà degli intervistati, seguita da stanchezza fisica e sbalzi di umore; circa un terzo dei pazienti soffre di difficoltà dell’attenzione, difficoltà di memoria, mal di testa/cefalea. Circa uno su quattro soffre di irritabilità e 2 su 10 di tremori. Questi sintomi a riprova di quanto la fenilalanina risulti sempre tossica, con manifestazioni variabili da paziente a paziente ma comunque impattanti in base al grado di accumulo e il tempo di persistenza.
Nella vita quotidiana dei pazienti, la PKU impatta in misura consistente nella relazione con il cibo, poi nell’organizzazione del proprio tempo, fattore più pesante tra i caregiver (adulti) che tra i malati stessi e, in misura minore, su socialità e stato emotivo.
Tra i bisogni evidenziati dai pazienti nella survey, infatti, si trovano l’attesa per una terapia che lasci maggiore libertà, ma anche maggiori informazioni su come gestire viaggi e attività sportive, nonché un supporto psicologico per affrontare le difficoltà e facilitazioni nell’espletare le pratiche burocratiche.
Attualmente la terapia primaria per questa malattia rara consiste in un rigido regime alimentare ipoproteico, associato all’integrazione di aminoacidi sintetici e vitamine, che comporta un forte impatto sulla qualità di vita dei pazienti. La necessità di mantenere gli interventi di trattamento sul lungo periodo rappresenta uno dei principali motivi per cui i pazienti spesso riducono la propria aderenza nel tempo, stanchi di dover limitare le proprie scelte alimentari con conseguente impatto psicologico/sociale rilevante.
Uno dei problemi accusati dai pazienti è però la difficoltà a seguire la dietoterapia, con conseguenti problemi a livello neurocognitivo. Se l’80% dei malati gestisce la PKU con una dieta, solo 2 adulti su 10 dichiara di riuscire a seguire perfettamente la dieta a basso contenuto di fenilalanina e oltre la metà di seguirla ma non perfettamente. La situazione è più semplice per i pazienti in età pediatrica, in quanto seguiti dai genitori, ma le difficoltà possono apparire già nella fase dell’adolescenza quando si sottraggono al controllo parentale.
A fronte di questa complessa situazione nella gestione della malattia, importanti novità nei trattamenti promettono di compiere una decisa semplificazione e miglioramento.
In alcuni casi risulta possibile associare all’intervento dietetico un supporto farmacologico, costituito dal cofattore dell’enzima non correttamente funzionante nella malattia, tramite terapia orale. Inoltre, di recente, è stato approvato un nuovo farmaco per i pazienti di età maggiore di 16 anni e con valori non controllati di Phe. Tale trattamento, somministrato per via sottocutanea, risulta in grado di ridurre significativamente i valori di fenilalanina, raggiungendo valori raccomandati dalle linee guida europee, a fronte di un’alimentazione del tutto libera, una volta raggiunta la fase di mantenimento della terapia: un passo potenzialmente epocale per la gestione di questa patologia.
Tuttavia, solo il 25% dei pazienti e dei caregiver dichiara di essere informato sull’esistenza di trattamenti farmacologici, evidenziando la necessità di una maggiore informazione, più capillare e su tutto il territorio nazionale.

* Pediatra metabolista, Clinica pediatrica Ospedale San Paolo - ASST Santi Paolo e Carlo - Università di Milano


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