Medicina e ricerca

Tumori: la radioterapia può curare metastasi come la chirurgia. Lo dimostra uno studio europeo con Irccs Negrar capofila

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La rinuncia al bisturi con la radioterapia in aggiunta alla terapia medica, è una soluzione per curare anche forme di cancro avanzate ma con metastasi limitate, con efficacia pari alla chirurgia e con minor disagio ed effetti collaterali. È quanto viene evidenziato dallo studio "Oligocare" promosso dalla Società europea di Radioterapia oncologica (Estro) e dall’European Organization for Research and Treatment Cancer (Eortc). La ricerca ha valutato l’impatto radicale della radioterapia su 1.600 pazienti che presentavano da una a cinque metastasi di varia tipologia, che originavano da tumori diversi, reclutati da 44 istituti di 12 paesi europei. I risultati preliminari sono stati presentati al congresso annuale dell’Estro, appena concluso a Vienna, da Filippo Alongi, Ordinario di Radioterapia Oncologia all’Università di Brescia e Direttore della Radioterapia oncologica avanzata dell’Irccs di Negrar, capofila del progetto con 200 pazienti, il più alto numero di casi trattati nello studio.
«Gli "oligometastatici" sono quei pazienti che pur avendo una malattia estesa in più sedi nell’organismo, presentano un numero limitato di lesioni, fino a 3-5 in uno o più organi – spiega Alongi -. In Italia si stima che siano 1 su 5 e solitamente per questi pazienti si ricorre alla radioterapia a scopo palliativo, cioè per alleviare il dolore o prevenire i sintomi, per cui viene prescritta a basse dosi e mirata sulla sede delle lesioni che possono causare grandi sofferenze. Lo studio invece ha valutato l’impatto della radioterapia in pazienti con più metastasi con l’obiettivo della remissione locale».
I pazienti arruolati sono stati 1.600 di cui più di 200, il numero più alto, provenienti dall’Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, uno dei centri più all’avanguardia del nostro Paese nella cura radioterapica dei tumori. «La gran parte di essi presentava da 1 a 3 metastasi di tumori primitivi della mammella, del colon, della prostata e del polmone, localizzate prevalentemente su polmoni, linfonodi, ossa e in alcuni casi anche nel cervello», precisa Alongi. Per il trattamento delle lesioni è stata impiegata la radioterapia stereotassica, cioè ad alte dosi ionizzanti erogate con precisione millimetrica, grazie anche alla possibilità di somministrazione sotto la guida di Tac o risonanza magnetica. I trattamenti hanno avuto una durata media di 5 sedute della durata variabile da pochi minuti a meno di un ‘ora e in molti casi sono stati effettuati contemporaneamente alla terapia medica (chemioterapia, immunoterapia e terapia con farmaci a bersaglio molecolare). «Dai risultati preliminari emerge che la radioterapia, in aggiunta ai farmaci, e in qualche caso anche da sola, ad esempio nei tumori alla prostata, è in grado di distruggere più metastasi spegnendo localmente la malattia, con una sopravvivenza del 97% dopo 6 mesi dal trattamento ed effetti collaterali rilevanti in appena l’1% dei casi – riferisce l’esperto -. I dati reali raccolti molto promettenti, anche se necessitano di essere confermati con un follow up più lungo, consentono di convalidare il valore della radioterapia come modalità di trattamento locale definitivo e non solo a scopo palliativo con efficacia locale sulle metastasi pari alla chirurgia».
Tuttavia, nonostante la grande efficacia, sulla radioterapia pesano ancora troppa disinformazione, per cui continua a essere attribuito a questo approccio terapeutico un valore inferiore rispetto a quello chirurgico e farmacologico, oltre a una distribuzione disomogenea sul territorio nazionale degli acceleratori lineari.
«Cittadini, media e istituzioni hanno purtroppo una visione non bene bilanciata delle forze in campo per la cura dei tumori – chiarisce Alongi -. L’idea che si ha della radioterapia è un po’ distorta e risente di un retaggio che appartiene al passato e che nella migliore dell’ipotesi la correla a uno scopo solo palliativo o a una terapia ancillare. Questo è un grave problema per i pazienti che in numerose situazioni cliniche non soltanto se inoperabili, potrebbero trarre beneficio da un’opzione terapeutica non invasiva alternativa a quella chirurgica e sinergica con i moderni farmaci oncologici».


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