Medicina e Ricerca

La piaga globale della diabesità

di Massimo Massi Benedetti (Hair of Scientific Task Force Idf(International Diabetes Federation)


Lavoro, salute, ambiente. Questa l'indissolubile triade che può consentire uno sviluppo sostenibile per i prossimi anni e che può essere assicurata solamente da una chiara presa di posizione politica condivisa dai decisori istituzionali dell'intero pianeta. A ricordarlo sono gli esiti di Rio+20, il vertice internazionale per lo sviluppo sostenibile che ha affrontato la sfida di un futuro che si annuncia complesso, anche e soprattutto per il divampare di alcune cronicità, prima tra tutte il diabete.

Le cifre e le prospettive della diabesità, neologismo che coniuga l'incremento ponderale con lo sviluppo della patologia metabolica, sono sicuramente allarmanti in questo senso. A fronte di una crescita della popolazione europea dagli 899 milioni di persone di oggi ai 931 milioni del 2030, la prevalenza degli adulti (20-79 anni) con diabete passerà dall'8,1 registrato nel 2011 al 9,5, soprattutto per l'aumentare della patologia nei Paesi dell'est. A disegnare un trend tutt'altro che tranquillizzante concorrono anche i dati sulla Igt (alterata tolleranza al glucosio) considerata come "l'anticamera" del diabete, ma altrettanto pericolosa, destinata a passare dal 9,6 attuale al 10,6 del 2030, portando la prevalenza cumulativa a oltre il 20%.

Non va molto meglio, peraltro, negli Usa. Secondo le previsioni dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, addirittura nel 2050 un adulto su tre sarà affetto da diabete. A più breve scadenza, solo nel 2020, i costi per il diabete vero e proprio e per il "prediabete" saranno di almeno 500 miliardi di dollari l'anno. Una cifra che può far saltare qualsiasi budget sanitario.

Appare quindi fondamentale che le persone, le comunità e gli Stati lavorino assieme per fermare il diabete, come parte preponderante delle «non communicable disease» (NCDs), nei confronti delle quali si stanno cercando contromisure condivise, sulla scorta della "Un Political Declaration on Ncd Prevention and Control", documento programmatico delle Nazioni Unite definito per favorire lo sviluppo di strategie tali da consentire un'inversione di tendenza in questo ambito.

Questa presa di posizione rappresenta un'importante base per giungere a un obiettivo chiaro e definito: la riduzione del 25% delle morti prevenibili legate alle NCDs per il 2025 come indicato dalla World Health Assembly nel maggio scorso.

Ovviamente questo importante risultato potrà essere raggiunto solamente attraverso il rispetto di una serie di passaggi e misure quali il coinvolgimento delle realtà politiche, la disponibilità di risorse economiche destinate alle persone con diabete, un miglioramento della gestione sanitaria che consenta migliori risultati nel trattamento della malattia e delle sue complicanze, la rimozione totale della discriminazione e un'attenzione specifica nei confronti della prevenzione della patologia.

Di straordinaria complessità sono soprattutto i primi obiettivi, la cui definizione è prevista per il 2015. Particolarmente difficile si presenta la possibilità di assicurare la disponibilità di risorse dedicate al diabete e alle NCDs. Solamente un'aggregazione fattiva e collaborativa degli sforzi di diverse istituzioni può consentire di creare quella "base" finanziaria che possa consentire di modificare con successo una situazione che appare estremamente grave.

La strategia per arrivare agli obiettivi indicati, così come preconizzata dall'Idf (International diabetes federation), deve basarsi su un circolo virtuoso che preveda la completa interconnessione tra cinque diversi elementi: la costituzione di alleanze strategiche, un'advocacy globale, la ricerca e la valutazione delle evidenze sulla malattia, lo sviluppo e la condivisione dei migliori modelli operativi, e la mobilitazione dei membri delle Associazioni a livello sia internazionale che locale.

L'Italia può avere un ruolo di grande rilievo in questo processo, sulla scorta delle linee indicate dall'Idf. Possiamo arrivare ad avere dati nazionali e benchmark affidabili e proseguire sulla via del miglioramento del buon compenso del diabete promuovendo la prevenzione e impegnandoci soprattutto sullo sviluppo di nuovi modelli di consumo e di comportamento non "diabetogenici" in collaborazione con le componenti sociali e con la scuola quale sede fondamentale per la promozione di stili di vita corretti, e infine assicurare l'evoluzione del sistema sanitario che, pur se strutturato in senso federale, possa evitare l'adozione di modelli non razionali, guidati solamente dal criterio dell'economicità a breve termine.

Ciò che conta è che esista una profonda condivisione di questi obiettivi, non solo nel cittadino ma anche e soprattutto nei Governi. Come ricorda

Margaret Chan, direttore generale dell'Oms, «l'obesità non è il segnale di fallimento della volontà individuale, quanto piuttosto di quello di politiche a più alto livello». Innalzare la soglia e il valore delle politiche nei confronti del diabete, proponendo strategie adeguate in senso sociale e ambientale, è sicuramente la chiave per poter contrastare con successo il trend epidemiologico di una malattia che rischia di diventare incontrollabile per i sistemi sanitari.

Solo attraverso un'adeguata condivisione di approcci e il coinvolgimento di tutte le realtà impegnate, quindi, si potranno raggiungere gli obiettivi che l'Idf si propone, in Italia e nel mondo. Se non si modifica questa tendenza, saremo di fronte a un destino drammatico, fatto di aumento dei costi per la Sanità e di una drastica riduzione dell'aspettativa e della qualità di vita, legate alle complicazioni del diabete, come le patologie cardiache, cerebrali, renali e vascolari in generale.

Come cittadini delle nostre comunità, della nostra Nazione e del mondo dobbiamo quindi lavorare insieme per fermare il diabete prima che la malattia fermi noi.