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I numeri degli studi di settore bocciano il franchising odontoiatrico

di Associazione italiana odontoiatri (Aio)

Le società di capitali in odontoiatria, cavallo di battaglia del disegno di legge sulla concorrenza, non creano ricchezza o comunque ne creano molta meno degli studi monoprofessionali. Il dato si evince da un’estrapolazione sulle tabelle degli studi di settore disponibili presso l’agenzia delle entrate presentata a Roma da Pierluigi Delogu presidente dell’Associazione italiana odontoiatri (Aio), al convegno “tra libera professione e franchising”. L’incontro metteva a confronto studi tradizionali e catene di franchising con l'aiuto di un sociologo – il presidente Eurispes Gian Maria Fara – un’associazione di pazienti – Cittadinanzattiva rappresentata dal vicesegretario Francesca Moccia – e l’avvocato cassazionista Maria Maddalena Giungato.
«Dai dati dichiarati nei modelli WK21U risulta che tra il 2008 e il 2014 gli studi dentistici tradizionali hanno contratto gli introiti sia nel 2009 sia nel 2012-13 attestandosi intorno a 140 mila euro e a 45 mila euro di reddito pro-capite (pari al 30% circa del fatturato). Contemporaneamente –afferma Delogu - si attestava sui 50 mila euro il reddito pro capite del dentista dello studio associato, che però fattura una media di 220 mila euro: quindi il reddito è il 22% del fatturato; ma scende al 5,06% nelle società di capitali che denunciano un fatturato da 400 mila euro a fronte di una retribuzione imponibile della società da 22 mila euro annui».


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