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Artrite reumatoide, si cambia passo con la molecola che blocca l’infiammazione

Ha un meccanismo innovativo e un target estremamente selettivo la nuova molecola per il trattamento dell'Artrite Reumatoide appena approvata dalla Commissione Europea, è infatti il primo inibitore degli enzimi delle Janus chinasi (in particolare JAK 1 e JAK 2) approvato per questa indicazione. Le JAK sono enzimi intracellulari che aiutano a trasdurre (modulare) i segnali da un gran numero di citochine, coinvolte nello sviluppo e progressione dell'AR.
Si chiama baricitinib e risponde ai bisogni insoddisfatti dei pazienti adulti con AR da moderata a grave che non ottengono miglioramenti significativi, o risultano intolleranti, ad uno o più farmaci anti-reumatici modificanti la malattia (DMARD, sigla in inglese di Disease Modifyng Antirheumatic Drugs), sia in monoterapia o in associazione con metotrexato. Le stime dicono che solo il 30% raggiunge la remissione clinica e un numero importante di pazienti non raggiunge risultati soddisfacenti. Questa ‘small molecule', ha mostrato di migliorare in maniera significativa segni e sintomi della malattia, agendo con un meccanismo d'azione totalmente innovativo.
«Il meccanismo di azione è molto interessante - sottolinea il Professor Piercarlo Sarzi Puttini docente di Reumatologia presso l'Università degli Studi di Milano e Direttore UOC del polo universitario L. Sacco di Milano - gli inibitori JAK interferiscono su questa particolare classe di enzimi intra-cellulari che generalmente agiscono emettendo segnali che innescano la produzione di sostanze infiammatorie. Un target che ha mostrato importanti vantaggi specifici: un'efficacia superiore ai farmaci di riferimento sugli indicatori di malattia, l'azione in tempi brevi dall'inizio della terapia, l'efficacia sul dolore spesso invalidante già dalla prima settimana e una somministrazione più semplice e sicura».
Nello studio RA-BEAM apparso recentemente sul New England Journal of Medicine, baricitinib è risultato superiore in maniera statisticamente significativa sia su metotrexato che su adalimumab (il farmaco biologico di riferimento) su diversi indicatori dell'attività di malattia. «Oltre a questi risultati, si è riscontrato un miglioramento significativo del dolore articolare, rigidità mattutina e fatica associata già dalla prima settimana di trattamento con baricitinib al dosaggio di 4 mg. Questa molecola rappresenta un importante traguardo e in essa sono riposte grandi potenzialità anche grazie ad alcune caratteristiche di “maneggevolezza”: si tratta infatti di una molecola orale che prevede una somministrazione unica giornaliera, molto più agevole da gestire rispetto ai trattamenti iniettivi attualmente a disposizione», conclude Sarzi Puttini.
«Stiamo parlando di oltre 400mila persone solo in Italia, pari allo 0,5% della popolazione - sottolinea Silvia Tonolo, Presidente di ANMAR che riunisce i malati di Artrite Reumatoide - con una prevalenza di giovani donne in età adulta. È promettente che questa nuova molecola abbia un'azione molto specifica sul dolore, un compagno invisibile e costante che interferisce con le più banali attività quotidiane. In questo senso, baricitinib dimostra di diminuirlo in tutte le sue forme sin dalle prime settimane e questo è incredibilmente confortante e potenzialmente rivoluzionario per la vita dei pazienti».

Lilly ha portato a termine quattro studi clinici di fase III su baricitinib in pazienti affetti da AR attiva da moderata a severa. Tutti e quattro gli studi di fase III condividevano la stessa misura di outcome ossia un miglioramento dei sintomi secondo le risposte ACR 20, ACR 50 e ACR 70 (diminuzione del 20%, 50% e 70% della condizione clinica di partenza, misurato secondo i criteri dell'American College of Rheumatology - ACR). Vi era inoltre, una serie di misure di outcome secondarie sull'attività di malattia e sulla capacità funzionale riferita dal paziente. Tutti gli studi hanno dimostrato la superiorità di baricitinib verso i gruppi di confronto con un profilo di sicurezza in linea con gli altri bracci di trattamento.
In particolare, nello studio BEAM, pubblicato a febbraio sul prestigioso New England Journal of Medicine, baricitinib è stato associato ad un significativo miglioramento clinico rispetto al placebo e adalimumab dopo solo 12 settimane di trattamento. In tale studio sono stati arruolati 1300 pazienti con artrite reumatoide che avevano una risposta inadeguata al MTX. Inoltre nello studio sono stati rilevati miglioramenti già dalla prima settimana su dolore, rigidità articolare e fatica.
Nonostante i progressi nel trattamento della patologia che colpisce in Italia una persona su 200, e oltre 23 milioni nel mondo, ancora troppe persone con artrite reumatoide continuano a subire gli effetti debilitanti di una condizione che evolve in un danno alle articolazioni e porta ad una progressiva disabilità: il 50% dei pazienti riporta vari gradi di invalidità o non autosufficienza entro 20 anni dall'esordio della malattia.


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