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Antibiotico-resistenza, le strategie internazionali e le azioni in Italia contro la «pandemia silenziosa»

di Marco Tinelli *

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24 Esclusivo per Sanità24

L’antibiotico resistenza, AMR come acronimo internazionale, non è solo un problema italiano ma è esteso a livello globale. Già da tempo, tutte le istituzioni mondiali hanno lanciato l’allarme riguardo tale emergenza.
Le Nazioni Unite, in seduta plenaria il 21 settembre 2016, hanno discusso di antibiotico resistenza e adottato una deliberazione rivolta ai governi di tutto il mondo per “aumentare e migliorare la sensibilizzazione” su tale problema ribadendo la responsabilità di tutte le istituzioni mondiali di “rispondere a questa emergenza mediante un approccio One Health”. Ultimamente, durante il recente G20 di Roma a inizio settembre, Stella Kyriakides commissaria UE alla Salute, ha definito l’antibiotico resistenza «una pandemia silenziosa e una minaccia sempre presente». Lo stesso concetto di "pandemia" è stato ribadito da vari relatori in rappresentanza delle istituzioni pubbliche europee ed italiane (Ema, ministero della Salute, Istituto superiore di Sanità) presenti al recente 8° Congresso AMIT 2021 svoltosi a Milano il 16-17 scorso.
In realtà, l’AMR per anni è stata largamente sottovalutata certamente non dagli addetti ai lavori, quanto piuttosto dalle istituzioni. Già qualche anno fa, le più accreditate stime epidemiologiche evidenziavano che, se non si fossero presi drastici provvedimenti, nel 2050 potevano esserci 10 milioni di morti ogni anno a livello globale, molti di più di quelli che sta provocando l’attuale pandemia da Sars-CoV-2.
Correre rapidamente ai ripari era quindi fondamentale, in primis ovviamente per la tutela della salute pubblica ma anche per evitare enormi sprechi di denaro.
Una recente stima riportata all’AMIT da Michelle Cecchini, responsabile dell’OCSE per la Salute Pubblica, evidenzia che l’antibiotico-resistenza potrebbe costare ai Paesi europei di qui al 2050, 11 miliardi di euro e che «in Italia un pacchetto di azioni che comprenda programmi di stewardship, migliore igiene nelle strutture sanitarie, campagne informative e uso dei test diagnostici rapidi potrebbe far risparmiare 445 milioni di euro ogni anno».
Ma allora cosa si è fatto fino ad ora e cosa si può ancora fare?
A livello europeo, l’ECDC- Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, da tempo esegue un rigoroso monitoraggio annuale della situazione nei vari paesi europei riguardo i livelli di resistenza dei principali batteri circolanti nella UE. L’ECDC, mediante un sistema chiamato EARS-Net che utilizza dati sulle resistenze agli antibiotici inviati da varie istituzioni pubbliche della UE (in Italia l’Istituto Superiore di Sanità), pubblica annualmente un atlante basato su una gamma di colori (come per Covid) dove si va dall’azzurro fino al rosso con resistenze rispettivamente da meno dell’1% ad oltre il 50%.
Secondo le rilevazioni di EARS-Net, l’Italia per molti anni è stata purtroppo tra le nazioni europee con i più alti tassi di resistenza a molti antibiotici per alcuni batteri come Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter baumannii, Stafilococcus aureus. Tali batteri se infettano pazienti critici o immunocompromessi, possono provocare gravissime infezioni o addirittura il decesso.
In un tale contesto sotto molti aspetti drammatico, lo stesso ECDC nel gennaio del 2017, dopo un’ispezione in ospedali di tre regioni e al Ministero della Salute, eufemisticamente “tirava le orecchie” al nostro Paese evidenziando nel report finale diversi elementi negativi emersi durante gli accertamenti. In particolare, sottolineava che il sistema regionalizzato della sanità non consentiva un razionale coordinamento ed una gestione ottimale del controllo delle infezioni, specie durante situazioni epidemiche emergenziali se non a “macchia di leopardo”. Inoltre, mancava un reale “supporto” al problema da parte delle istituzioni sia a livello nazionale, regionale e locale.
Una risposta a queste critiche, se pur tardiva, c’è stata e ha portato anche il nostro Paese a definire finalmente una serie di provvedimenti che vanno avanti tutt’ora. Si è adottata la strategia “One Health” che considera la gestione della salute non come una serie di insiemi separati ma come un unico comparto. L’impego degli antibiotici non riguarda solo la salute umana ma anche gli allevamenti animali, l’impatto sull’agricoltura e sull’ambiente.
Tutti questi elementi sono stati considerati nel “PNCAR-Piano Nazionale di Controllo dell’Antimicrobico Resistenza 2017-2020” dove sono stati indentificati diversi obiettivi per il controllo del fenomeno e come risolverli. Il Piano era ben articolato ma non è stata mai fatta una assegnazione diretta di fondi dallo Stato demandando sostanzialmente ancora una volta tutto alle regioni. Alcuni obiettivi sono stati risolti, è parzialmente migliorata l’appropriatezza e ridotto il consumo di alcuni antibiotici molto usati sia in ospedale che nel territorio (es: chinoloni, e carbapenemi), è diminuita la resistenza di alcuni batteri molto pericolosi per le infezioni, i già citati Klebsiella pneumoniae e Stafilococco aureus, ma molti altri obiettivi non sono ancora stati realizzati. Ora il PNCAR è in revisione e si spera che riuscirà a risolvere le situazioni ancora non definite.
Uno dei principali prossimi obiettivi è realizzare su scala nazionale la cosiddetta “antimicrobial stewardship” cioè impostare un modello gestionale che definisca le finalità, gli obiettivi programmatici, gli standard operativi, le attività prioritarie, gli indicatori di processo e di risultato sul buon uso degli antibiotici in ambito umano e veterinario. Altro punto fondamentale è la formazione continua dei Medici ed altri Operatori sanitari che gestiscono a livello periferico la partita sull’AMR.
Qui abbiamo, finalmente, una buona notizia di concretezza.
Il Governo Italiano, ormai ben conscio del problema dell’antibiotico-resistenza, nel Pnrr ha previsto uno stanziamento di 1 miliardo e 260 milioni per "formazione, ricerca scientifica e trasferimento tecnologico" di cui una rilevante quota sarà dedicata a: “Un piano straordinario di formazione sulle infezioni ospedaliere (con circa 150.000 partecipanti entro la fine del 2024 e circa 140.000 entro metà 2026)”. Altra buona notizia, le Società Italiane di Malattie Infettive (SIMIT, SITA, GISA) e di Microbiologia (AMCLI, SIM) hanno terminato di redigere un documento di indirizzo sul “Buon Uso degli Antibiotici in Ambito Umano” dove sono indicate le corrette modalità prescrittive e diagnostiche degli antibiotici e degli esami di laboratorio nell’ottica della “antimicrobial stewardship, tenendo conto delle peculiarità del nostro Paese.
Una cosa è certa: non dobbiamo più farci trovare impreparati né da pandemie né da endemie di ogni tipo. Per il controllo delle infezioni e l’antibiotico resistenza questa volta abbiamo basi più solide che in passato. La speranza è che si potrà finalmente assicurare al cittadino un deciso miglioramento per la lotta alle infezioni.

* Direzione nazionale Società italiana di Malattie infettive e tropicali


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