Sentenze

Cassazione, è possibile il rimborso a carico del Ssn per la terapia Dikul

di Paola Ferrari

L’appropriatezza non si ingabbia in un atto amministrativo. Il concetto di appropriatezza coincide con la dimensione primaria e costituzionalmente garantita del diritto alla salute e non può essere sacrificata o compromessa dalla discrezionalità amministrativa, dovendosi escludere la configurabilità di atti amministrativi (comunque disapplicabili ai sensi della legge 20 marzo 1865, n. 2248, articolo 5, allegato E), condizionanti in tal senso il diritto all’assistenza.
In ragione di quanto sopra, il diritto al rimborso delle cure è ammesso quando il paziente non riesca a ottenere «cure tempestive e allorquando siano prospettati motivi di urgenza suscettibili di esporre la salute a pregiudizi gravi e irreversibili». Questa è l'opinione espressa dalla sezione lavoro della Cassazione (sentenza 7279/2015, depositata il 10 aprile scorso) che ha respinto il ricorso dell'Asl avverso la decisione della Corte fiorentina che l'aveva condannata al rimborso delle spese sostenute dal paziente per effettuare la terapia riabilitativa “dikul” da effettuarsi anche al domicilio con un tecnico di fiducia del paziente. In base al principio di efficacia, contenuto nell'articolo 1 del Dlgs 502/1992 in tema di livelli minimi di assistenza, i benefìci conseguibili con la prestazione, secondo gli ermellini, devono essere posti a confronto con l’incidenza della pratica terapeutica sulle condizioni di vita del paziente, dovendosi considerare in particolare - in relazione ai limiti temporali del recupero delle capacità funzionali - la compromissione degli interessi di socializzazione della persona derivante dalla durata e gravosità dell’impegno terapeutico (in tal senso anche Cassazione, Sez. Un. 24 giugno 2005 n. 13548; Sez. Un. 30 maggio 2005 n. 11334, Cass. n. 17541/11; Cass. n. 24033/13).
Secondo l’Asl, al contrario, i servizi erogabili sono solo quelli che «presentano (...) evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute», escludendo specificamente le prestazioni sanitarie «la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili da effettuarsi ex ante e non, come nella specie, ex post e, di conseguenza, nessuna rilevanza poteva avere l’individuale miglioramento del paziente».
Tesi respinta dal Tribunale fiorentino la cui decisione è stata ritenuta esente da censure. Nella fattispecie, i giudici d’Appello accertarono che rispetto alla terapia offerta dal Ssn (che comportò solo un lieve miglioramento della tetraplegia senza alcuna possibilità di effettuare spostamenti di alcun tipo in posizione eretta), il trattamento chiesto in rimborso comportò un deciso miglioramento delle condizioni dell'assistita che riacquistò la possibilità di deambulare soltanto munita di stampelle «canadesi», riuscendo in tal modo ad avere un indubbio miglioramento delle condizioni funzionali e di vita.


© RIPRODUZIONE RISERVATA