Sentenze

Asl: servizio ambulanze in affidamento diretto per le associazioni di volontariato

di Francesco Machina Grifeo

Sì all'affidamento diretto alle associazioni di volontariato dei servizi di trasporto sanitario pubblico in cambio di un rimborso spese. Per la Corte Ue, sentenza nella causa C-50/14, depositata ieri, infatti, la normativa italiana non viola il diritto dell'Unione.

La vicenda
Un consorzio artigiano di servizio taxi e autonoleggio ha impugnato davanti al Tar Piemonte il provvedimento con il quale l'Azienda sanitaria locale di Ciriè, Chivasso e Ivrea, aveva disposto l'affidamento diretto in convenzione, dunque senza gara e senza pubblicità, del servizio di trasporto dializzati a favore di due associazioni di volontariato, alle quali l'ente pubblico si era impegnato a versare soltanto un rimborso. Per i ricorrenti una simile condotta viola la disciplina nazionale ed europea dell'evidenza pubblica. A questo punto il tribunale amministrativo regionale ha sollevato davanti ai giudici di Lussemburgo una questione pregiudiziale, chiedendo, in sostanza, se ed in che limiti il diritto dell'Unione consenta un simile affidamento diretto di un servizio pubblico.

La motivazione
Con l'odierna sentenza, la Corte ha stabilito che gli articoli 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione «non ostano a una normativa nazionale che consente alle autorità locali di attribuire la fornitura di servizi di trasporto sanitario mediante affidamento diretto, in assenza di qualsiasi forma di pubblicità, ad associazioni di volontariato, purché il contesto normativo e convenzionale in cui si svolge l'attività delle associazioni contribuisca effettivamente a una finalità sociale e al perseguimento degli obiettivi di solidarietà ed efficienza di bilancio». E in questi casi, prosegue la sentenza, l'autorità che proceda all'affidamento non è neppure tenuta, in base alle norme dell'Unione, a comparare preliminarmente più offerte di varie associazioni.
Peraltro, conclude la Corte, l'associazione di volontariato può anche esercitare attività commerciali (volte alla realizzazione di un profitto), purché le stesse non snaturino la vocazione benefica dell'associazione. Quindi le attività commerciali in tanto potranno essere svolte dall'associazione in quanto rappresentino una minima parte della attività complessiva e servano comunque a sostenere gli scopi benefici. Per cui, entro tali limiti, la legislazione nazionale può, senza infrangere il diritto dell'Unione, prevedere la facoltà delle associazioni di svolgere attività lucrative.


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