Sentenze

Ogm, principio di precauzione e zone «franche»

di Stefano Palmisano (Avvocato)

Una sorta di zona franca dal “normale” principio di precauzione. Se si volesse provare una sintesi estrema - tanto da risultare un po' forzata, ma non troppo – della recente sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea in materia di organismi geneticamente modificati, forse potrebbe essere questa.

Il provvedimento della Corte sita in Lussemburgo, reso all'interno di un procedimento penale a carico di un agricoltore italiano imputato per avere coltivato l'ormai noto mais gm MON 810 in violazione del divieto di coltivazione contenuto nella legislazione nazionale (l'art. 4, c. 8, D.L. 91\2014), è ovviamente assai più articolato.

Anzitutto, perché opera una qualificante distinzione tra l'ambito di operatività, da una parte, della normativa europea che disciplina in generale la sicurezza alimentare (Regolamento CE n. 178\2002) - e l'applicabilità al suo interno dello stesso principio di precauzione - e, dall'altra, di quella specificamente dedicata all'autorizzazione e commercializzazione degli alimenti geneticamente modificati (Regolamento CE n. 1829\2003).

Per entrare nello specifico della decisione dei giudici comunitari, il cuore è costituito, come si accennava all'inizio, proprio dall'affermazione del “doppio binario” sul quale correrebbe il principio di precauzione quando la questione verta in materia di ogm.

Infatti, per garantire, in generale, la sicurezza alimentare dei cittadini dell'Unione Europea, e tutti i suoi corollari sanciti dal Regolamento 178\2002, il riferimento è rappresentato dall'art. 7 del testo in questione, intitolato proprio “Principio di precauzione” (“Qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d'incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.”).

Viceversa, secondo la Corte, quando la questione riguardi gli ogm e i loro potenziali rischi le norme e le procedure cui attingere sono esclusivamente quelle previste dal Regolamento 1829\2003, che costituisce una sorta di normativa speciale, e quindi prevalente, rispetto a quella generale alimentare sopra rammentata.

Pertanto, perché uno stato membro possa adottare le misure emergenziali previste dalla norma speciale del 2003 (peraltro, tramite un rinvio a quelle statuite dallo stesso Regolamento 178\2002) non è sufficiente la mera “possibilità di effetti dannosi”, in presenza di una “situazione di incertezza sul piano scientifico”; occorre, invece, la ben più stringente situazione tratteggiata dall'art. 34: “quando sia manifesto che prodotti autorizzati dal presente regolamento o conformemente allo stesso possono comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l'ambiente …”

La motivazione di fondo a base di questo “diritto speciale”, per come espressamente esplicitata nella sentenza, sarebbe costituita dalla preventiva autorizzazione cui sono sottoposti gli ogm perché possano esser commercializzati: in pratica, il rispetto del principio di precauzione sarebbe “incorporato” nell'iter autorizzativo in questione; con la conseguente impossibilità di invocarlo nuovamente in sede successiva all'emissione dell'autorizzazione e alla conseguente messa in commercio. A meno che non insorga la condizione, rigorosamente provata, di gravi e documentati rischi di cui all'art. 34 citato.

Il Governo italiano, con un decreto del 2013 - adottato quale misura di emergenza ai sensi delle norme europee su citate - aveva vietato la coltivazione del mais ogm.

Il provvedimento dell'esecutivo aveva un suo supporto scientifico. In forza di un parere dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare, quella base scientifica della norma italiana non è stata ritenuta adeguata, prima dalla Commissione e poi dalla Corte europea. Per questa ragione (e per le altre su accennate), quindi, il bando nazionale al mais gm stato ritenuto sostanzialmente illegittimo.

Di questa sentenza, si è detto che è una decisione superata dal mutato quadro normativo europeo in materia di ogm, a seguito della direttiva del 2015 che ha riconosciuto ai Paesi membri la potestà di disciplinare la convivenza tra colture tradizionali, biologiche e ogm, con la facoltà collegata di inibire a questi ultimi parte o tutto il territorio nazionale, per ragioni socio – economiche, di tutela della biodiversità, del paesaggio ecc…

E' sostanzialmente vero: per le ragioni appena accennate, questa decisione non dovrebbe spalancare le porte all'invasione degli “ultrageni”, almeno in questo Paese e negli altri 16 che hanno deciso di vietare gli ogm.

Resta qualche perplessità sulla ratifica di quella specie di zona franca, di cui si diceva all'inizio, del diritto della sicurezza alimentare dall'ordinario principio di precauzione: per l'appunto quella relativa a queste curiose creature che sono gli ogm, sull'assunto che la loro sicurezza sarebbe già stata “provata”, quasi una volta per tutte, in sede di autorizzazione.
E quelle perplessità aumentano se si pensa che, sotto la certificazione di sicurezza, c'è anche e soprattutto la firma di “Autorità” sulla cui indipendenza e autorevolezza corrono “voci” non proprio rassicuranti.


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