Sentenze

Responsabilità medica d’équipe e nesso di causalità: la Corte di Cassazione fissa i «paletti»

di Pietro Verna

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24 Esclusivo per Sanità24

Con la sentenza 30 giugno 2021, n. 24895, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi di colpa medica d’equipe e di nesso di causalità. Ciò per affermare che «il medico che venga chiamato per un consulto specialistico ha gli stessi doveri professionali del sanitario che ha in carico il paziente» (ex multis, Cassazione, Sez. IV, sentenza 15 febbraio 2018, n. 24068), nonché per ribadire il principio stabilito con la sentenza 10 luglio 2002, n. 30328 (sentenza Franzese) che ha escluso qualsiasi interpretazione che faccia riferimento, ai fini della individuazione del nesso causale quale elemento costitutivo del reato, esclusivamente o prevalentemente «su dati statistici ovvero su criteri probabilistici». Principio che la Suprema Corte ha richiamato accogliendo il ricorso proposto contro la sentenza con cui la Corte di appello di Milano aveva condannato il medico di guardia di un pronto soccorso per il reato di lesione aggravata in cooperazione colposa (articoli 113, 590, 583 comma 1 n. 2, codice penale) perché ritenuto responsabile del deficit uditivo riportato da una paziente colpita da meningite pneumococcica.
I fatti
Una signora accedeva al pronto soccorso di un ospedale di Milano accusando un grave quadro sintomatologico (febbre persistente, stato confusionale, cefalea). Visitata dal medico di guardia, sulla cartella veniva annotata come «paziente in stato di agitazione, non collaborante, piretica» e quindi sottoposta a terapia farmacologica, radiografia al torace e Tac al capo. Concluso il turno di servizio, il medico di pronto soccorso affidava la paziente al sanitario subentrante suggerendo di contattare il neurologo reperibile, avendo ipotizzato una sospetta meningite. Lo specialista confermava il sospetto di meningite e disponeva l’invio della paziente in un reparto di malattie infettive, dopodiché, reso edotto delle difficoltà di ricovero della paziente per la mancanza di posti letto, consigliava al medico del pronto soccorso di eseguire emocolture e successiva terapia antibiotica. Prestazioni che non venivano eseguite perché nel frattempo (erano trascorse circa tre ore), essendosi liberato un posto letto in un nosocomio specializzato ( l’Ospedale San Giovanni di Milano), il medico del pronto soccorso aveva disposto il trasferimento della paziente presso tale struttura. Trasferita dunque la paziente presso quest’ultima struttura, alla stessa veniva diagnosticata la meningite pneumococcica con esiti di ipoacusia permanente.
La sentenza
La Corte di appello di Milano aveva ritenuto entrambi i sanitari responsabili dell’evento: (i) il medico di guardia al pronto soccorso per non avere immediatamente iniziato la terapia antibiotica, così come prescritto dalle linee guida; (ii) neurologo (condannato ai soli fini della responsabilità civile) per non aver subito disposto la terapia antibiotica e per non aver controllato che il collega del pronto soccorso l'attuasse. Decisione che i giudici della Cassazione non hanno condiviso. Il Supremo Collegio, pur giudicando «colposi» i comportamenti dei sanitari imputati, ha ritenuto carente di motivazioni l’assunto che il deficit uditivo, quale conseguenza della meningite, fosse dipeso dalla condotta colposa dal momento che la Corte territoriale meneghina anziché attenersi al principio di diritto stabilito dalla sentenza Franzese si era basata su dati statistici desunti da «studi retrospettivi» e su affermazioni apodittiche («un trattamento tempestivo avrebbe innescato un decorso causale diverso e portato alla verificazione di un evento-malattia più lieve rispetto a quello concretamente verificatosi, con minori sofferenze per la paziente ») senza accertare il nesso eziologico tra le condotte colpose e l’evento.


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