Sentenze

Dispositivi medici: la Cassazione “richiama” i costruttori sulla sicurezza

di Pietro Verna

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I dispositivi medici devono essere fabbricati in modo che la loro utilizzazione non comprometta lo stato clinico o la sicurezza dei pazienti. In caso contrario, il fabbricante violerebbe la direttiva 93/42/CEE recepita dal decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2149 del 2022, che ha confermato la pronuncia con la quale la Corte di appello di Roma aveva condannato per lesioni colpose il rappresentante della "Normed Medizintechnik GmbH" per aver messo in commercio una pinza chirurgica che si era frantumata durante un intervento di chirurgia spinale procurando al paziente danni irreversibili: la ritenzione di un frammento della pinza della grandezza di mm 10/15 in uno spazio intervertebrale aveva peggiorato «la sintomatologia algica lombare» e determinato l’impossibilità di eseguire la risonanza magnetica nucleare «a causa del rischio di mobilizzazione del frammento metallico “libero” ad opera del campo magnetico».
Dinanzi alla Cassazione l’imputato aveva richiamato la sentenza del giudice di primo grado che lo aveva assolto, condividendo le valutazioni dei consulenti della difesa e del pubblico ministero secondo cui: (i) «la rottura del margine superiore della pinza chirurgica utilizzata nel corso dell’intervento fosse da attribuirsi alla presenza di una "inclusione" di ossidi all'interno dell'acciaio (… ) creatasi nella fase di costruzione dello strumento»; (ii) «l’inclusione avrebbe potuto essere verificata attraverso una radiografia o l'uso di una sonda ultrasonora come avviene a livello aeronautico, in cui il materiale viene trattato con processi di rifusione».
Tesi che non ha colto nel segno. Ad avviso della Cassazione, il costruttore avrebbe dovuto attenersi alle previsioni di cui all’ Allegato I al decreto legislativo n. 47 del 1997 («le soluzioni adottate dal fabbricante per la progettazione e la costruzione di dispositivi medici devono attenersi a principi di rispetto della sicurezza, tenendo conto dello stato di progresso tecnologico generalmente riconosciuto») e, quindi, verificare «attraverso appositi controlli (radiografici o a onde sonore) l'assenza di inclusioni nel materiale adoperato per la realizzazione dello strumento chirurgico» dal momento che il ricorso a tali verifiche era stato prospettato ( e non valorizzato) nel giudizio di primo grado. Da qui la sentenza in narrativa, che conferma l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale:
- il costruttore risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili ai difetti strutturali dei macchinari messi in commercio, a meno che l'utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tali da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento (Cassazione, Sez. IV, 12 febbraio 2020, n. 5541);
- la difettosità del dispositivo medico può essere dimostrata anche con la sola prova della insicurezza del prodotto, con la conseguenza che il paziente danneggiato deve soltanto provare che l'uso del prodotto ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative, mentre «il produttore dovrà dimostrare che il difetto riscontrato non esisteva quando ha posto il prodotto in circolazione oppure che all’epoca, a causa di un determinato stato di conoscenze scientifiche e tecniche, non era riconoscibile come tale» ( Cassazione, Sez. III, sentenza 8 ottobre 2007, n. 20985; in senso conforme Corte di Giustizia UE, Sez. IV, sentenza 5 marzo 2015, n. 503 che ha stabilito che il pregiudizio derivante dall'operazione chirurgica di sostituzione di un congegno difettoso costituisce un danno causato da «lesioni personali» di cui il produttore è responsabile ex articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 85/374 sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi).


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