Sentenze

Aziende sanitarie: corretto il bando di assunzione che prevede l'idoneità fisica all’impiego

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Una tematica molto delicata e conflittuale – ma di importanza strategica per le aziende sanitarie – è quella dell’assunzione tramite concorso pubblico di personale che sia pienamente fungibile per tutti i compiti istituzionali del profilo a concorso. Questo principio è irrinunciabile per il personale di assistenza diretta, soprattutto in un momento storico in cui le assunzioni sono così difficili da realizzare sia per ragioni contingenti – le difficoltà enormi nelle gestione dei concorsi e il crescente calo dei candidati – sia per variabili esterne, come i vincoli e le limitazioni alle assunzioni fissati dalla normativa nazionale o regionale. Una recentissima decisione di un Giudice del lavoro ha dato ragione all’azienda datrice di lavoro che nel bando aveva imposto come condizione per la stipula del contratto individuale di lavoro la idoneità incondizionata alla mansione di infermiere (Tribunale di Udine, sez. lavoro, ordinanza n. 27 del 27.4.2022, non ancora depositata). La ricorrente aveva partecipato ad un concorso per infermiere bandito dalla medesima azienda; premettendo di essere alle dipendenze della resistente con mansioni di operatore socio sanitario, esponeva di aver partecipato al concorso per la copertura di 130 posti di collaboratore professionale sanitario – infermiere cat. D indetto dall’Azienda Regionale di Coordinamento per la Salute della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e di essere risultata vincitrice. Per completezza si precisa che il concorso - sebbene destinato alla Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale-ASUFC - è stato gestito in modo centralizzato da un ente sovraziendale (ARCS), così come avviene da tempo in Toscana, Veneto e, in futuro, nel Lazio e in Puglia. L’oggetto del ricorso era l’art. 2 del bando di concorso che richiedeva l’idoneità “piena e incondizionata alla mansione specifica del profilo” mentre non era contestato l’esito della visita medica preventiva obbligatoria cui era stata sottoposta la ricorrente, che aveva concluso per la sua idoneità con prescrizioni e limitazioni, soprattutto riguardo al lavoro notturno. L’interessata ha dedotto varie illegittimità chiedendo che fosse disapplicato il bando di concorso e fosse ordinata la stipula del contratto di lavoro, con condanna al pagamento delle differenze retributive. Tuttavia, nel caso di specie, il Giudice del lavoro non ha ravvisato né la presenza di una disparità di trattamento tra i candidati, essendo richiesto per tutti dal bando di concorso il requisito della idoneità piena ed incondizionata alla mansione, né che sussistesse alcuna violazione dei canoni di correttezza e buona fede nel senso precisato dalla giurisprudenza della Cassazione. Il ricorso è stato, quindi rigettato, con compensazione delle spese a ragione della “sussistenza di un contrasto nella giurisprudenza di merito”.
La pronuncia appare corretta e lineare e induce ad alcune osservazioni di carattere generale su di una tematica, come detto, di importanza strategica per le aziende sanitarie. Sulla questione si rileva che, ormai, numerosi bandi di concorso per il profilo di infermiere contengono una clausola che riporta come requisito generale di ammissione la incondizionata idoneità fisica specifica alle mansioni del profilo professionale a selezione. Detta prescrizione non è presente nella normativa concorsuale che è costituita dal DPR 220/2001, dal DPCM 25 gennaio 2008 e, per quanto di competenza generale, dal DPR 487/1994. La clausola ricordata potrebbe impedire l’assunzione di chi, dopo aver superato tutte le prove ed essere stato proclamato vincitore del concorso, alla visita preassuntiva ex art. 41 d.lgs. 81/2008 da parte del medico competente dovesse ottenere un giudizio di idoneità parziale.
A norma della disposizione sopra citata, in particolare secondo il comma 6, i giudizi che può emettere il medico competente sono tassativamente i seguenti:
a) idoneità;
b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
c) inidoneità temporanea;
d) inidoneità permanente.
Come appare evidente fra questi giudizi non esiste un giudizio di “incondizionata idoneità”, per cui si dovrebbe ritenere che le aziende sanitarie si riferiscano al giudizio di cui alla lettera a), intendendo in modo implicito che detta idoneità - in quanto priva delle prescrizioni o limitazioni di cui alla successiva lettera b) - debba necessariamente e inevitabilmente essere “incondizionata”.
La fonte normativa (di natura regolamentare) per tutto il pubblico impiego è il DPR 487/1994 che all'art. 2, comma 3 riporta tra i requisiti generali la “idoneita' fisica all'impiego. L'amministrazione ha facolta' di sottoporre a visita medica di controllo i vincitori di concorso, in base alla normativa vigente". Per il servizio sanitario nazionale il DPR 220/2001 contiene una norma del tutto similare nell’art. 2, comma 1, lettera b), punto 1 che prevede che “l'accertamento dell'idoneità fisica all'impiego, con l'osservanza delle norme in tema di categorie protette, e' effettuato da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, prima della immissione in servizio”; subito dopo viene anche disposto che i soggetti già dipendenti pubblici sono dispensati dalla visita medica.
La clausola contestata non veniva in passato inserita nei bandi di concorso ma risulta sempre più presente negli ultimi anni. La motivazione risiede plausibilmente nella duplice circostanza che i vincoli di finanza pubblica hanno notevolmente ristretto le facoltà assunzionali delle aziende e contemporaneamente il fenomeno della inidoneità temporanea del personale sanitario ha raggiunto percentuali incompatibili con l’esigenza di garantire la continuità assistenziale. In altri termini, quando le aziende sanitarie potevano contare su organici quasi completi, l’ipotesi di avere infermieri non pienamente idonei – sia che fossero già in servizio, sia all’atto dell’assunzione – era una variabile organizzativa che le aziende gestivano quale aspetto del tutto fisiologico del rapporto di lavoro e dei suoi eventi organizzativi. Ma con la perdita di migliaia di operatori per mancato turn-over e con l’aumento esponenziale delle inidoneità - dovute anche al sostanziale invecchiamento del personale infermieristico che presenta una età media di circa 50 anni – tale aspetto è divenuto patologico e ha indotto le aziende a ricercare soluzioni operative: una sorta di “amministrazione difensiva” tale e quale al fenomeno conosciuto come “medicina difensiva”. Il tutto da alcuni anni è stato aggravato dagli effetti della legge 161/2014 che ha ripristinato le norme comunitarie in tema di durata massima della settimana lavorativa e di riposo giornaliero. Proprio a tale proposito va ricordato che l’art. 14, comma 2, della legge 161 citata impone alle Regioni di “garantire l’ottimale funzionamento delle strutture … attraverso una più efficiente allocazione delle risorse umane disponibili”. Cosa altro è, dunque, l’inserimento nei bandi della clausola di cui parliamo se non una forma di “efficientazione” ? Riguardo alla traslazione della norma generica del DPR 220 nella severa idoneità incondizionata che troviamo in numerosi bandi, per ricercare la sua genesi giuridica potrebbe ipotizzarsi un indiretto riferimento al DPR 686/1957 (regolamento di esecuzione del TU degli impiegati civili dello Stato) che all’art. 11, comma 2, lettera c) richiedeva “il certificato medico attestante l'idoneita' fisica al servizio continuativo ed incondizionato nell'impiego al quale si riferisce il concorso”; quindi una idoneità non generica all’impiego ma specifica alla funzione. Questa ipotesi ha peraltro un valore meramente storico in quanto quella citata, unitamente alle analoghe disposizioni più recenti, è abrogata da ben nove anni. Infatti la legge 98/2013 (il cosiddetto decreto del “Fare”) all'art. 42 – rubricato “Soppressione certificazioni sanitarie” – il quale al comma 1, lettera d), sancisce che sono abrogate le disposizioni concernenti, tra le altre, il certificato di idoneità fisica per l’assunzione nel pubblico impiego, di cui:
1.all’articolo 2, primo comma, numero 4), del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3;
2.all’articolo 11, secondo comma, lettera c), del d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686;
3.all’articolo 2, comma 1, numero 3), del regolamento di cui al d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487;
4.all’articolo 1, comma 1, lettera b), del d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483;
5.all’articolo 2, comma 1, lettera b), del d.P.R. 27 marzo 2001, n. 220.

Sul tema è intervenuta anche una pronuncia del Giudice del Lavoro di Bologna del 18.6.2013 che ha ritenuto discriminatorio l’inserimento del requisito della incondizionata idoneità al profilo. La sentenza si riferisce ad un concorso bandito nel 2010, quindi prima dell’intervenuta abrogazione sopra ricordata e ha ritenuto discriminatorio il comportamento dell’azienda sanitaria in stretta connessione alla possibilità di assumere l’interessato con le limitazioni accertate “comportando un onere organizzativo assolutamente non sproporzionato” visto il numero totale di dipendenti dell’azienda. Dal punto di vista legale la situazione è dunque piuttosto chiara. Ma allora perché moltissimi bandi contengono ancora la clausola contestata ? Due possono essere le spiegazioni. Sicuramente in alcuni bandi gli estensori ignorano addirittura l’avvenuta abrogazione delle norme sopra indicate e continuano a citare la “idoneità fisica all’impiego”, come nel più numeroso concorso degli ultimi anni bandito nel 2016. In altri casi si prende evidentemente atto della abrogazione e la si intende come una sostanziale deregulation che consente all’azienda di verificare in piena autonomia – tramite il medico competente – la effettiva idoneità che, a questo punto, non può che essere alla mansione specifica. In effetti, fino al 2013 non attenersi al dettato del DPR 220 poteva sicuramente realizzare una illegittima forzatura del bando ma oggi la materia è priva di regolamentazione ed è quindi molto più plausibile l’inserimento di una condizione – non si tratta nemmeno più di un requisito generale – per l’assunzione.

La normativa comunitaria per gestire la questione dell’inserimento lavorativo di soggetti con limitazioni ricorre al concetto di “accomodamento ragionevole” con il quale si intendono le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo al datore di lavoro. Il bando di concorso costituisce la lex specialis della procedura concorsuale e può inserire condizioni e precisazioni che non siano ovviamente contrari alla legislazione vigente. Per fare un esempio, in un bando recente di una grande azienda ospedaliera del nord si legge che “stante l’esigenza di garantire una adeguata attività di assistenza nei confronti dell’utenza, è richiesta idoneità incondizionata rispetto alle mansioni da svolgere in reparti organizzati con il lavoro a turni 24 ore su 24, compatibilmente con il rispetto delle norme in materia di categorie protette”. A prescindere dall’aspetto formale che nel bando in parola la precisazione virgolettata era inserita tra i “requisiti generali”, in contrasto con l’abrogazione ex lege 98/2013, il punto cruciale è se quanto prescritto risulti compatibile con la normativa vigente ovvero possa risultare derogabile nell’ambito della complessiva organizzazione aziendale. Questa, in buona sostanza, è la verifica da effettuare per giudicare legittima o meno la condizione di cui si parla, non tralasciando ovviamente il contesto lavorativo dell’azienda, i limiti alle assunzioni, il tasso generale di inidoneità, l’applicazione corretta della legge 161/2014.

Tale verifica deve inoltre ponderare attentamente i contrapposti principi costituzionalmente tutelati ma la chiave interpretativa potrebbe essere proprio quella che si ricava dalla pronuncia della Sezione Grande della Corte di Giustizia della UE del 15 novembre 2016 (causa C 258/15), nel senso che ormai nessuna azienda sanitaria può permettersi di assumere infermieri che non siano in condizioni di svolgere in modo completo la professione. Ed è solo il caso di aggiungere che la possibilità di sottoporre qualsiasi neo assunto alla visita di idoneità preassuntiva è espressamente prevista per il datore di lavoro dall’art. 41, comma 2-bis del citato d.lgs. 81/2008 che testualmente afferma che “le visite mediche preventive possono essere svolte in fase preassuntiva, su scelta del datore di lavoro, dal medico competente o dai dipartimenti di prevenzione delle ASL”, l’accortezza procedurale sta nel non ritenerlo un requisito generale per la partecipazione al concorso bensì una condizione di procedibilità per la stipula del contratto individuale di lavoro con il vincitore del concorso.

La sentenza del Giudice del lavoro di Udine conferma pienamente la legittimità della decisione aziendale riguardo al potere/dovere di assumere infermieri integralmente abili per qualsiasi compito istituzionale. La pronuncia di cui si è trattato non è, in ogni caso, isolata perché si rilevano altri precedenti: Tribunale di Alessandria, sentenza n. 96 del 21.3.2018 e Tribunale di Bologna, ordinanza n. 171 del 18.6.2013. Si tratta delle due pronunce in virtù delle quali il Giudice friulano, come detto, ha compensato le spese “per la sussistenza di un contrasto nella giurisprudenza di merito”, visto che la prima ha rigettato il ricorso mentre la seconda ha condannato l’azienda per comportamento discriminatorio e al risarcimento pari a sei mensilità di retribuzioni non percepite. Va peraltro segnalato che quest’ultima pronuncia coinvolgeva la AOU S. Orsola per un bando del 2010, cioè di un epoca in cui vigeva ancora la previsione “dell'idoneità fisica all'impiego” e, forse, imporre la idoneità incondizionata poteva risultare ancora azzardato.


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