Sentenze

Cassazione: l'azienda sanitaria non può decidere unilateralmente le tariffe dell’attività intramuraria

di Pietro Verna

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24 Esclusivo per Sanità24

Il tariffario dell’ attività professionale intramuraria deve riflettere l’accordo tra l’azienda ospedaliera e i sanitari coinvolti nella gestione di tale attività, pena la violazione dell’articolo 1, comma 4, lettera c), della legge 3 agosto 2007, n. 120 (Disposizioni in materia di attività libero-professionale intramuraria) secondo cui gli importi per l’attività intramuraria sono definiti d’intesa con i dirigenti interessati, previo accordo in sede di contrattazione integrativa aziendale. In questi termini la Corte di Cassazione (ordinanza n.8779/2022) ha cassato con rinvio la sentenza con la quale la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Mantova, aveva respinto la richiesta di alcuni medici in regime di attività libera professionale intramuraria (Alpi) di ottenere dal datore di lavoro il rimborso delle somme trattenute a titolo di imposta regionale sulle attività produttive (Irap).
A sostegno della propria decisione, la Corte d’appello aveva osservato che i ricorrenti avrebbero implicitamente accettato che l’Irap fosse inserita fra i costi dell’attività intramuraria. Ciò, in considerazione del fatto che: (i) il contratto integrativo aziendale aveva previsto che l’azienda provvedesse, in accordo con i professionisti, alla determinazione di un tariffario idoneo ad assicurare la copertura integrale di tutti i costi direttamente o indirettamente correlati all’ attività intramuraria; (ii) successivamente alla stipula del contratto aziendale, il direttore generale dell’azienda ospedaliera aveva richiamato “la lettera con la quale fin dal 2005 veniva trattenuta l’Irap”; (iii) “risultava ampiamente provato e non contestato che le tariffe venivano fissate direttamente dai dirigenti medici con semplice comunicazione all’azienda, che si limitava a prenderne atto e ad aggiornare le comunicazioni all’utenza”.
L’ordinanza della Corte di Cassazione
Nel ricorso proposto contro la sentenza della Corte territoriale, i medici avevano sostenuto che la traslazione dell’imposta era stata “una decisione unilaterale del direttore generale” e che il contratto integrativo aziendale “non aveva in alcun modo specificato le singole voci di costo o fatto alcun riferimento agli oneri fiscali eventualmente traslabili”. Tesi che ha colto nel segno. I giudici della Suprema Corte hanno cassato la pronuncia della Corte territoriale per violazione dell’articolo 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007 e dell’articolo 1362 del codice civile ( «Nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto ») ed hanno disposto il rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, al fine chiarire se la decisione del direttore generale avesse o meno “natura di proposta contrattuale” e se la prova dell’accordo tra l’azienda e i ricorrenti sulla traslazione dell’Irap fosse stata “pienamente raggiunta”. “Verdetto” che conferma l’orientamento secondo cui la traslazione convenzionale dell’Irap sui compensi per attività intra moenia svolta dai medici deve essere oggetto di esplicita previsione contenuta da apposita clausola all’interno dell’accordo integrativo aziendale ( Cassazione, Sez. Lavoro, sentenza 12 settembre 2013, n. 20917 che richiama la sentenza n. 8533 del 29 maggio 2012).


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