Sentenze

Livelli essenziali di assistenza: la Corte Costituzionale bacchetta l'inadempienza di dodici Governi

di Ettore Jorio*

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24 Esclusivo per Sanità24

La Corte costituzionale bacchetta dodici Governi perché inattivi, per la bellezza di ventuno anni, nell’attualizzazione dei LEA. Eh già perché con i livelli essenziali di assistenza siamo fermi a quelli del Dpcm del 29 novembre 2001. Ciò in quanto quelli revisionati con il Dpcm del 12 gennaio 2017 sono ancora non del tutto vigenti e godibili. Tutto questo fa divenire obsolescenti le prestazioni attive a carico del Servizio sanitario nazionale, con la conseguenza che un siffatto ingeneroso ritardo ultraventennale «non trova alcuna giustificazione in relazione a un tema essenziale per la garanzia del diritto alla salute in condizioni di eguaglianza su tutto il territorio nazionale, senza discriminazione alcuna tra regioni».
È quanto deciso dalla Corte costituzionale con una sua apprezzabile sentenza: la nr. 242 (Red. Buscema), depositata l’1 dicembre appena trascorso. Un decisum che ha riguardato la legge della Regione Puglia (la nr. 28/2021), istitutiva del servizio di analisi genomica con sequenziamento della regione codificante individuale. In quanto tale ritenuto dalla medesima Regione espletato dal Servizio sanitario regionale pugliese a suo totale carico, purché doverosamente prescritto in presenza di particolari patologie e a tutela di interessi pubblici afferenti alla prevenzione.
L’assunto legislativo, quello pugliese di accollarlo al servizio sanitario regionale, contestato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri soprattutto perché ritenuto perfezionato in violazione dell’art. 117, comma terzo, relazionato al comma 174 dell’art. 1 della legge finanziaria per il 2005 (L. 311/2004). Ciò in quanto quest’ultimo, in attuazione del principio fondamentale di coordinamento di finanza pubblica, andava ad escludere ogni forma di espansione di prestazioni sanitare a carico di sistemi regionali della salute. In quanto tale, nel caso di specie, anche ampliativo della categoria dei livelli essenziali di assistenza (i Lea) fissati esclusivamente dallo Stato, in attuazione di quanto disposto nel comma secondo del medesimo articolo della Costituzione alla lett. m).
Un divieto che diventa ancora più esplicito per quelle Regioni soggette ai vincoli dei piani di rientro dal disavanzo sanitario (la Puglia lo è ancora!), atteso che alle medesime viene segnatamente interdetto ogni incremento di spesa salutare «per motivi non inerenti alla garanzia delle prestazioni essenziali (i Lea) e per spese, dunque, non obbligatorie».
Una interdizione di tipo assoluto perché risulterebbe peraltro in aperta violazione dell’art. 81, (come detto) dell’art. 117, comma secondo, lett. m), 81 e (aggiungiamo noi) 97, comma primo, e 119 comma primo.
A prescindere dalla verosimile riconosciuta utilità di un siffatto percorso diagnostico, il Giudice delle leggi ha ancora una volta sancito quanto oramai consolidato. Ovverosia che il ricorso gratuito alle prestazioni, quantunque pregevoli, è consentito solo con l’inclusione delle stesse nell’apposita griglia dei Lea, la cui implementazione è interdetta alle Regioni, che peraltro ad oggi sarebbero ben otto quelle in piano di rientro (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise Puglia, Sardegna, Sicilia), di cui due anche commissariate ad acta (Calabria e Molise).
Dunque, un rimprovero cui segue la naturale sollecitazione ad attualizzare i Lea. Non solo. A rivedere la prevista scansione di aggiornamento quinquennale del nomenclatore, in considerazione dell’evolversi delle patologie e del veloce progresso che caratterizza la ricerca, la tecnologia e la scienza medica e quindi l’assistenza sanitaria alle persone.

* Dipartimento di Scienze aziendali e Giuridiche
Università degli Studi della Calabria


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