Aziende e regioni

Servizio sanitario nazionale: l’ultima Speranza?

di Nino Cartabellotta *

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24 Esclusivo per Sanità24

Travolto da un insolito destino nel Papeete d’agosto, dopo soli 14 mesi il Governo giallo-verde si è camaleonticamente trasformato in giallo-rosso con la regia del Premier Conte che è riuscito a miscelare aspettative e ambizioni delle forze politiche pronte a dare vita al nuovo Esecutivo. Nel vertiginoso rimescolamento delle carte, Movimento 5 Stelle e Partito Democratico si sono tenuti alla larga dallo scottante Ministero della Salute, che è stato regalato (o relegato?) a Liberi e Uguali e affidato alle mani di Roberto Speranza, un cognome che può essere solo d’auspicio per quanto da anni richiesto a gran voce dagli attori della sanità: il rilancio della più grande opera pubblica mai costruita in Italia, ovvero quel Servizio sanitario nazionale (Ssn) saccheggiato nell’ultimo decennio da tutti i Governi che per esigenze di finanza pubblica hanno prelevato dalle sue casse oltre 37 miliardi di euro.
Il ministro Speranza eredita un Ssn che sta letteralmente cadendo a pezzi: dalla gravissima carenza di personale sanitario alle inaccettabili diseguaglianze regionali e locali; dall’avanzare indisturbato dell’intermediazione finanziaria-assicurativa, elegantemente travestita da 2° pilastro, alla spesa farmaceutica diretta sempre più fuori controllo; dall’insufficiente erogazione dei Lea (solo 9/21 Regioni adempienti secondo il nuovo sistema di garanzia) a sprechi e inefficienze che continuano ad erodere preziose risorse.
Anche sul versante normativo Speranza ritrova troppe incompiute, di cui alcune volutamente ignorate dai giallo-verdi: in particolare, dopo quasi tre anni il Dpcm sui nuovi Lea rimane inattuato per mancata pubblicazione del “decreto tariffe” e la legge Gelli sulla qualità e sicurezza delle cure è ancora orfana di decreti attuativi. Ci sono poi gli ingombranti cantieri aperti dai giallo-verdi (sunshine act italiano, flessibilità dell’obbligo vaccinale, aggressioni operatori sanitari, riforma delle nomine dei manager), oltre alla patata bollente del regionalismo differenziato che ha già attraversato tre esecutivi senza andare in porto. Questa scottante riforma, che il Programma di Governo si propone di non abbandonare seppur con tante (giuste) precauzioni da scoraggiare i secessionisti più spinti, trova infatti nell’arena della sanità il rischio di aumentare quelle diseguaglianze che proprio Speranza vuole ridurre in nome dell’universalismo al Ssn. Last but not least, visto che il precedente Governo e le Regioni hanno bruciato 7 mesi per annusarsi reciprocamente, Speranza non trova sul tavolo quel nuovo Patto per la Salute a cui sono pericolosamente vincolati gli aumenti del fabbisogno sanitario nazionale previsti dall’ultima Legge di Bilancio: 2 miliardi di euro per il 2020 e 1,5 miliardi di euro per il 2021.
Dal canto suo, le prime dichiarazioni del ministro della Salute non lasciano alcun dubbio sulla ferrea volontà di preservare e rilanciare una sanità pubblica e universalistica: dalla necessità di fermare i tagli alla sanità e rifinanziare il Ssn sin dalla prossima Legge di Bilancio a quella di considerare la spesa sanitaria non come un costo ma come un investimento per la salute e la vita delle persone; dalla carta Costituzionale come “faro” per il suo programma di Governo alla necessità di superare l’attuale carenza di medici e infermieri e garantire la qualità dei servizi sanitari e l’universalismo del Ssn.

Le rassicuranti e appassionate parole di Speranza, tuttavia, non trovano analoga enfasi nel Programma di Governo che non prevede esplicitamente alcun rilancio del finanziamento pubblico per il Ssn, limitandosi ad affermare genericamente il proprio impegno a difesa della sanità pubblica e universale valorizzando il merito, e sottolineare la necessità di assicurare, d’intesa con le Regioni, un piano di assunzioni straordinarie di medici e infermieri, di integrare i servizi sanitari e socio-sanitari territoriali e di potenziare i percorsi formativi medici.
A fronte di queste generiche affermazioni rimane viva la “Speranza” che l’imminente Nota di Aggiornamento al Def 2019 metta finalmente nero su bianco la sospirata inversione di tendenza del rapporto spesa sanitaria/Pil, magari provando a concretizzare quella “Quota 10” (10 miliardi di investimenti aggiuntivi nei prossimi 3 anni) proposta dal Partito Democratico che verosimilmente ha fatto il passo più lungo della gamba, visto che la probabilità di assegnare con la prossima Legge di Bilancio oltre 5 miliardi alla sanità per il 2020 è più bassa di quella del ritorno di Renzi alla corte del Nazareno. D’altronde, commentando “Quota 10”, proprio il Ministro Speranza ha chiosato che si tratta di un orizzonte interessante ma ancora lontano in assenza di “bacchette magiche”. Infine, è bene essere consapevoli che se il “piano di assunzioni straordinarie di medici e infermieri” annunciato dal Programma di Governo può contribuire a risolvere la carenza di risorse umane, non concretizza di fatto alcun rilancio delle politiche per il personale sanitario che deve non solo essere adeguatamente “rimpiazzato”, ma soprattutto (ri)motivato allineando le retribuzioni a standard europei per arginare la fuga all’estero dei tanto desiderati nuovi specialisti, formati a nostre spese.
Speranza si troverà a fronteggiare alcune costanti irreversibili che determinano la continua involuzione del Ssn: la pachidermica lentezza del Parlamento, la scure del Mef sempre in agguato, le politiche del Miur solo pro-Accademia, le continue discordie con la Conferenza delle Regioni peraltro sempre meno compatte tra loro, gli interessi divergenti e conflittuali degli stakeholder della sanità. Inoltre, dovrà faticosamente riallineare proposte gialle e rosse non sempre convergenti sulla sanità, con l’insolita presenza di un vice-ministro (mai designato alla Salute nella storia della Repubblica) e con i parlamentari renziani pronti a picconare iniziative troppo “di sinistra” a favore della sanità pubblica.
Ahimè, pur riponendo massima fiducia nelle “parole di Speranza”, la storia passata e recente insegna che l’impegno e la buona volontà del ministro della Salute da soli non hanno mai risollevato le sorti della sanità pubblica.

* Presidente Fondazione Gimbe


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