Aziende e regioni

Le Regioni, i conti della pandemia e il necessario rispetto delle regole di bilancio

di Enrico Caterini * ed Ettore Jorio *

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24 Esclusivo per Sanità24

A un 2021 ricco per i Ssr - meglio, divenuto tale a seguito della domanda di ricovero e di ricorso alle cure pubbliche precipitata enormemente a causa della pandemia - corrisponde un 2022, ove le istanze cominciano a essere in ripresa, non affatto finanziato a dovere. Ciò nonostante il personale da assumere da quest’anno in sostituzione dei cessati e mai rimpiazzati nonché di quelli da programmare per dare vita dal 2023 alle strutture messe a terra con i finanziamenti Pnrr (Case e ospedali di comunità e Cot), altrimenti inanimati, ma soprattutto per sopportare i costi energetici ad un valore più che quadruplicato.
I contributi statali Covid hanno messo in forte imbarazzo diverse Regioni, delle quali quasi tutte difettano dei relativi esaustivi rendiconti e del loro corretto trattamento in bilancio. Ragionevolmente, sarebbero dovuti essere allibrati sull’apposita scheda (una sorta di contabilità speciale) rappresentativa di tutti movimenti di entrata e uscita con apposita indicazione delle rispettive motivazioni in dare e avere e dei relativi saldi progressivi, e non già commistionati con le risorse ordinarie e finanche commutati nei tetti di spesa. Ma soprattutto non già lasciati in mano di soggetti sub-attuatori nominati dai Presidenti di Regione, questi ultimi sì autentici soggetti attuatori dei commissari governativi delegati ad hoc. In quanto tali tenuti a rendicontarli finanziariamente evitando ogni confusione contabile di troppo.
Al riguardo, occorrerebbe metterci mano per verificarne le causali (alcune delle quali fantasiose) e gli addendi determinanti quella "somma che fa il totale". Ciò allo scopo di constatare la corretta esecuzione della spesa Covid e rintracciare ogni avvenuta distrazione di somma di troppo, ancorché apprezzabile come destinazione di interesse pubblico.
Sul tema della necessità dei doverosi controlli, occorrerebbe in proposito tenere conto di due irrinunciabili doveri e un divieto imposti alle Regioni, rispettivamente: a) di spendere i quattrini per intervenire, con effetti preventivi e curativi, sul Covid e di restituirli nella (molta) remota ipotesi di mancata irresponsabile utilizzazione, da ritenersi nell’eventualità esempio di grave inadempienza, considerata la coda pandemica ancora in atto; b) di sviare la destinazione ex lege distraendo i fondi per altre eventualità.
In alcune regioni sembra essere successo di tutto e di più: non sono stati spesi tutti i quattrini a generale tutela delle collettività; le somme residue sono state utilizzate per altro, nonostante vincolati pro Covid 19, financo sistemare bilanci ordinari e per effettuare assunzioni ordinarie, tanto da meritare attenzione del magistrato contabile e non solo.
Conseguenze dirette e indirette
Si è così generata una confusione di troppo che, vissuta in una sovradimensione di fatto del riparto del fabbisogno standard nazionale (il Fondo sanitario vecchia specie) nei ventuno fabbisogni standard regionali (19) e provinciali (2), ha fatto sì che i sistemi regionali generassero dei sensibili e naturali avanzi, tenuto conto:
- della consistente caduta di domanda di ricovero, causata dalla porte chiuse del sistema ospedaliero per l’intervento ordinario con conseguente forte diminuzione dei costi di produzione connessi;
- della mancata erogazione dei Lea da parte del sistema sanitario territoriale.
Un episodio, questo, di inabituale ricchezza che ha fatto sì che in molte regioni si procedesse, nell’inoltrato 2022, a riparti milionari straordinari di risorse alle aziende ospedaliere e universitarie, ben oltre la loro produzione e, dunque, per molti versi indebite, in quanto stornate dalla destinazione in favore di quelle territoriali tenute ad assicurare i Lea alla popolazione, con conseguente impoverimento delle medesime e, conseguentemente, della qualità e quantità dei Lea.
Tutto questo ha generato una confusione terribile con conseguenti regole contabili che vanno ben oltre la più creativa immaginazione. Si è addirittura arrivati in proposito in alcune aziende sanitarie, resesi beneficiarie nel 2022 degli anzidetti trasferimenti, di riaprire i bilanci 2021 approvati e di aggiornarli con i sopravvenuti ricavi.
Ciò in dispregio alle più comuni regole contabili e in violazione all’inviolabile principio di continuità del bilancio ribadito reiteratamente dalla Corte costituzionale. Si è anche provveduto, nell’ipotesi di bilanci 2021 non approvati, ad annotare e registrare retroattivamente (al 31 dicembre) gli introiti, a seguito di provvedimenti amministrativi regionali e/o commissariali adottati nel corrente esercizio con conseguente trasferimento delle relative somme, ma con un evidente falso in bilancio. Il tutto, al solo fine di eludere, senza francamente comprenderne il motivo se non quello di celare ovvero ridimensionare disavanzi di valore equivalente, la naturale iscrizione delle maggiori somme alla data della acquisizione come sopravvenienze attive riferibili a introiti straordinari 2021 extra-produzione.
A sostegno della correttezza necessaria nel nostro Paese per offrire una immagine chiara dei conti della Repubblica, è appena il caso di ricordare che «Il principio di continuità del bilancio è una specificazione del più ampio principio dell’equilibrio tendenziale contenuto nell’art. 81 cost.». Questo perché «collega gli esercizi sopravvenienti nel tempo in modo ordinato e concatenato» (su tutte, sentenza n. 181 del 2015), consentendo di inquadrare in modo strutturale e pluriennale la stabilità dei bilanci preventivi e successivi. Questa è la regola generale affermata, in più occasioni, dalla Corte costituzionale sulla inderogabilità assoluta della continuità di bilancio pubblico per il suo riconosciuto effetto protesico di quell’equilibrio economico introdotto nella Costituzione nel 2012.
Di conseguenza, quando un esercizio contabile è temporalmente chiuso e vengano successivamente fuori dei rapporti giuridici pregressi (cioè riferibile ad esercizi precedenti) - non ancora allibrati a bilancio, perché a suo tempo inaccertati o inaccertabili - non verrebbe consentita alcuna riapertura. Così come sarebbe errata la ipotesi di registrare in data utile pregressa movimenti contabili allo stato della chiusura dell’esercizio contabile in fieri non ancora accertati, con la determinazione di assicurare un implicito allungamento dell’esercizio economico sine die.
Una siffatta idea ictu oculi è irragionevole (oltre che illegittima). Una simile trovata basterebbe da sola per affidare all’arbitrio dell’amministratore la decisione del quando e come chiudere l’esercizio finanziario in corso, introducendo una radicale incertezza e inaffidabilità nei conti, oltre che violando una sfilza interminabile di precetti giuridici di ogni ordine a grado. L’esercizio contabile è la segmentazione periodica del flusso continuo dei rapporti giuridici – che in quanto tali non subiscono soluzione di continuità -, la cui definizione legale o convenzionale è prioritariamente essenziale per consentire l’esercizio del potere di controllo dei conti, ragione fondamentale per la quale esiste il diritto dei conti.
Dunque, l’esercizio si chiude rebus sic stantibus, cioè a dire con lo stato dei rapporti giuridici accertati e allibrati al tempo predefinito di chiusura dell’esercizio. Abitualmente accade che a quel tempo alcuni rapporti giuridici sono stati appostati in modo del tutto erroneo ovvero non sono accertati per varie ragioni, non sempre dipendenti dall’amministratore in carica, e in tal caso sarà dovere di quelli successivi perseguirne l’accertamento al fine di definirne le sopravvenienze e insussistenze, attive e passive. Ciò, sebbene segua la clausola della competenza (cioè a rappresentarne l’imputabilità riferita a fatti concretizzati nel relativo periodo), inciderà (esclusivamente) sullo stato patrimoniale e sul conto economico dell’esercizio in corso.

* Laboratorio permanente per gli studi e la ricerca nel settore del diritto e dell’economia sanitaria dell’Università della Calabria


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