Aziende e regioni

Legge anziani, le sfide in campo e il dovere di "provarci"

di Giuseppe Maria Milanese *

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24 Esclusivo per Sanità24

Il 25 gennaio il Governo alla guida del Paese ha approvato il decreto legislativo che attua la sospirata Legge di riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. È un fatto e non è da poco. I decisori pubblici hanno approntato un piano normativo cruciale che prevede importanti risorse per i prossimi due anni e disegna un quadro della salute fin qui inedito. Non è (soltanto) una questione di soldi, comunque finalmente allocati nel capitolo della vecchiaia. È (soprattutto) una questione di approccio etico-culturale, un cambio di paradigma che intende restituire dignità ai nostri vecchi. Dignità nelle cure, nell’assistenza sociale e sanitaria, nelle attività vitali e negli stessi bioritmi propri di quell’età. Con questo scatto, tra gli altri aspetti salienti, si prevedono adeguati standard di cura nell’ambito della domiciliarità e della residenzialità, settori intesi come step funzionalmente coordinati nell’ambizioso progetto del continuum assistenziale.
Per muovere questo primo grande passo in direzione di una evoluzione culturale che finalmente appaiasse l’Italia ai Paesi occidentali, Confcooperative Sanità ha nell’ultimo decennio fatto la sua parte: che non rivendico in quanto merito, ma come diritto e dovere manifestamente assegnati dalla Carta Costituzionale al Terzo Settore. Questo lavoro ha portato il frutto che avevamo atteso come Godot e provato a meritare attraverso una lunga impresa sussidiaria, talvolta in soccorso del Sistema sanitario nazionale, più spesso creativa: un riconoscimento di ruolo, una titolarità che il professor Aldo Bonomi, proprio sulle pagine del Sole 24 ore, ha ben saputo illustrare come potenziale «istituzione di una comunità di cura larga» ("Sul Terzo Settore va costruito il futuro del Mezzogiorno", 16 gennaio 2024).
Il bicchiere mezzo pieno. Certo, il bicchiere è ancora pieno a metà ma, per vocazione, i cooperatori sanno vederlo mezzo pieno e non mezzo vuoto. Riconosciamo al Governo e particolarmente al Vice Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Maria Teresa Bellucci di aver dimostrato acuta sensibilità sul tema prioritario della qualità della salute durante la vecchiaia e altrettanta capacità di affrontare il problema sul piano normativo e finanziario. Ma noi gridiamo da troppo tempo nel deserto del dibattito pubblico che andava raccolta la sollecitazione che l’Oms aveva lanciato già nel 1978 e cioè che occorreva costruire dei sistemi di governance e pratica di assistenza primaria, con pari efficacia e dignità rispetto alle reti ospedaliere, in modo da veicolare le acuzie verso i nosocomi e da affrontare le cronicità quando possibile a casa, quando non più possibile nelle residenze sanitarie o nei centri diurni. Oggi siamo davanti, per così dire, a una fase di startup di un nuovo modello di sistema.
Il bicchiere mezzo vuoto. Il bicchiere è mezzo vuoto nella misura in cui alcune falle gravano pesantemente sulla prospettiva di un sistema che funzioni a dovere e penso soprattutto alla disomogeneità tra le Regioni, che rischia di essere acuita dallo spinto processo di autonomia differenziata e di alimentare le sperequazioni: 20 regioni che legiferano in maniera diversa producono sistemi di salute discriminanti, più spesso in base al censo. Penso alla carenza di personale sanitario, vertenza per la cui risoluzione abbiamo proposto la figura appositamente normata di un operatore sociosanitario con formazione complementare (Oss-Fc) che supporti gli infermieri, i fisioterapisti e i medici. Penso anche alla telemedicina o tecnoassistenza che, da un lato, evidenzia il problema del divario digitale italiano, dall’altro rischia il travisamento da certamente prezioso strumento – qual è a tutti gli effetti – a improbabile panacea autosufficiente.
Montale docet. Noi, qui e ora, però prendiamo il buono che c’è in questa svolta, consapevoli della necessità di lavorare pancia a terra per offrire, anche nella fase di emanazione dei numerosi decreti ministeriali che dovranno essere adottati, il bagaglio di competenze acquisite nelle trincee del lavoro delle nostre cooperative e perché no, il punto di vista dei nostri assistiti, la loro umanità dolente. «È una meta lontana», per dirla con Montale, «ma provarcisi un debito».

* Presidente di Confcooperative Sanità


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