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Riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti: la montagna ha partorito un topolino

di Katia Pinto *

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24 Esclusivo per Sanità24

Insieme alle altre 60 organizzazioni del Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza aspettavamo da marzo 2023 il decreto attuativo della legge 33/2023, la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti.
Il testo presentato dal Consiglio dei ministri il 25 gennaio avrebbe dovuto finalmente dare concretezza a una svolta storica per oltre 10 milioni di persone: i 3 milioni e 800.000 mila anziani non autosufficienti che vivono nel nostro Paese, i loro familiari e i caregiver professionali. Tra queste numerose sono le persone con demenza e le loro famiglie.
Nei fatti, però, la montagna ha partorito un topolino. Ci troviamo davanti un decreto che, pur contenendo aspetti positivi, ridisegna quelli che erano dei cardini della legge delega e rimanda la messa in pratica di altri a successive disposizioni.
Non è per esempio rimasta traccia della prevista riforma dell’assistenza a casa. Si sarebbe dovuto introdurre un modello di servizio domiciliare specifico per la condizione di non autosufficienza. Per la maggior parte delle persone con demenza è di grande aiuto poter continuare a vivere a casa propria il più a lungo possibile, in un ambiente conosciuto e in mezzo ai volti dei familiari. Ma questi devono poter essere messi in condizione di offrire al proprio caro la migliore assistenza possibile, ricevendo a loro volta tutto il sostegno necessario a non soccombere al lavoro di cura, che porta spesso a sacrificare il lavoro, la vita sociale, la salute.
A mancare nel decreto attuativo è un progetto che risponda in maniera completa, integrata e costante a tutte le esigenze che l’assistenza domiciliare a un anziano non autosufficiente, magari con demenza, comporta. Viene introdotto il coordinamento tra gli interventi sociali e sanitari erogati dagli attuali servizi domiciliari, ma non sono affrontati altri aspetti decisivi quali la durata dell’assistenza fornita, le tipologie di professionisti da coinvolgere, l’offerta di servizi di informazione, consulenza e sostegno psicologico per i familiari.
Sono stati annunciati 400 milioni in più per l’Assistenza domiciliare integrata (Adi), ma si tratta di fondi temporanei e non strutturali e che ancora una volta non incidono concretamente sul modello esistente.
Il decreto prevede inoltre la sperimentazione della prestazione universale: un aggettivo che però non rispecchia le effettive caratteristiche di questo contributo economico. Di questi 850 euro che ogni mese si aggiungeranno ai 531 euro dell’indennità di accompagnamento, infatti, beneficeranno solo gli over 80 con elevato bisogno assistenziale e ridotte disponibilità economiche, ovvero un Isee inferiore ai 6mila euro: meno di 30.000 persone nel 2025 e neanche 20.000 nel 2026. Questa sperimentazione non cancella inoltre un’altra grave mancanza di questo decreto: la scomparsa della riforma dell’indennità di accompagnamento. Si tratta della misura di supporto più diffusa e allo stesso tempo meno efficace per la non autosufficienza. Un esempio concreto? La demenza è una condizione che comporta difficoltà di varia natura ma che non sempre e non subito intacca la capacità di muoversi e camminare: eppure per poter ottenere l’indennità le persone con demenza devono dimostrare di avere gravi difficoltà di deambulazione.
Questa non è la riforma che le persone non autosufficienti si aspettavano e di cui avevano bisogno. Nel nostro Paese saranno sempre di più gli uomini e le donne che si troveranno in questa condizione e tra di loro quelli che dovranno convivere anche con la demenza. Insieme alle altre organizzazioni del Patto continueremo a far sentire la nostra voce perché si arrivi all’approvazione definitiva del provvedimento con un vero progetto per il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti.

* Presidente Federazione Alzheimer Italia


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