Aziende e regioni

Adi e non autosufficienti: le prospettive dopo il Pnrr e la delega anziani

di Laura Pelliccia *

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24 Esclusivo per Sanità24

L’ Assistenza domiciliare integrata (Adi) sociosanitaria storicamente ha trovato diversi livelli di sviluppo nelle regioni in termini di numero di assistiti e di intensità/frequenza erogativa; finora ha risposto prevalentemente a esigenze di tipo episodico e prestazionale (es. medicazioni, cambio catetere, ecc.), come dimostrato dal numero medio di interventi per assistito (16 ore annue per anziano).
In piena epoca Covid si è accesa l’attenzione verso questo setting, con l’avvio di apposite politiche nazionali di potenziamento. Un processo innescato con il Dl 34 e poi confluito nel nuovo modello di sanità territoriale (Dm 77): l’Adi sarà uno dei servizi da assicurare in tutte le case di comunità (cdc), anche se non sono stati precisati i rapporti tra operatori dedicati a questo servizio e popolazione del bacino di riferimento. A coronare l’importanza dell’ Adi è poi intervenuto il Recovery Plan fissando l’obiettivo di servire il 10% degli anziani: un cronoprogramma che dovrebbe portare, a fine 2025, a un quasi raddoppio dell’utenza del 2019, un incremento di oltre 800.000 assistiti grazie a un importante finanziamento Pnrr (1,1 miliardi nell’ultimo anno).
Quale Adi ha inteso promuovere il Pnrr?
Nel definire il pacchetto standard da prendere a riferimento per stimare il costo per utente Adi del Pnrr si è tenuto conto dell’intensità assistenziale mediamente erogata dalle 3 regioni dove l’Adi è più diffusa (ma anche quelle dove incidono notevolmente gli interventi poco intensivi). Secondo la metodologia esplicitata nel Dm 13/3/23, è stato ipotizzato un servizio fatto mediamente di 3 accessi al mese per utente. Si tenga conto che questo tipo di assistenza denominata “cure domiciliari di base” (quella con meno di un accesso a settimana) fino ad oggi non veniva considerata utile ai fini delle verifiche Lea, proprio perché poco incisiva. Nella costruzione del pacchetto di riferimento del Pnrr è stato invece ipotizzato che l’80% dei nuovi assistiti riceverà meno di un accesso a settimana.
Le preoccupazioni per lo sviluppo di un servizio polverizzato su tanti utenti sono rafforzate anche tenendo conto delle relative regole di monitoraggio. Infatti, le regioni saranno valutate esclusivamente sul raggiungimento del numero di utenti, a prescindere dal numero di accessi effettuati e dalla durata della presa in carico. Se una regione dovesse raggiungere il target di anziani prefissato erogando Adi meno intensiva rispetto al pacchetto standard ipotizzato per la stima dei costi, essa avrebbe comunque conseguito l’obiettivo. Per assurdo, un territorio che erogasse a tutti gli anziani un solo accesso all’anno sarebbe valutato in termini di perseguimento del target al pari di un altro territorio che invece ha deciso di offrire pacchetti intensivi. La revisione del Recovery Plan di fine 2023 ha confermato tali logiche, implementando ulteriormente il numero di anziani target (842.000).
Un primo bilancio dello stato di implementazione dell’Adi
Non è ancora possibile, sulla base delle statistiche ufficiali, vedere a che punto si è arrivati con lo sviluppo dell’Adi e il grado della sua effettiva implementazione regione per regione grazie al Pnrr (la maggior parte delle statistiche è ferma al 2021). Il Paese non è riuscito a centrare l’obiettivo della numerosità di utenti aggiuntivi da prendere in carico nel 2022 (fenomeno che non deve sorprendere, dato che gli obiettivi per quell’anno sono stati assegnati alle regioni dopo che l’esercizio si era concluso) e si è ancora in attesa di conoscere gli esiti del monitoraggio Pnrr sul 2023.
Alcune prime evidenze sulla spesa delle regioni al 2022 per i vari Lea segnalano che, rispetto al 2019, il costo del personale sanitario del Ssn dedicato alle cure domiciliari è aumentato di circa 100 milioni, cifra estremamente inferiore allo stanziamento del Dl 34 (circa 500 milioni), a dimostrazione delle difficoltà nel reperimento del personale infermieristico. La spesa per l’Adi del 2022 per il complesso dei fattori è circa il 30% più elevata di quella del 2019 (un aumento dell’ordine di 300 milioni).
L’ Adi e gli anziani non autosufficienti
È probabile che il Pnrr abbia inteso promuovere un tipo di Adi per la prevenzione della cronicità nell’ottica della sanità d’iniziativa, interventi proattivi senz’altro utili per rispondere ai bisogni delle persone con patologie croniche (es. monitoraggio da parte degli Ifec della pressione o della glicemia). Si tratta di esigenze da non confondere con quelle degli anziani non autosufficienti che, per essere assistiti al domicilio, hanno bisogno di interventi di lunga durata di igiene, mobilitazione, addestramento del caregiver per “limitare il declino funzionale e migliorare la qualità della vita” (Art. 22 dei Lea). Come insegna il Dm77, occorre stratificare i bisogni per erogare agli utenti più compromessi risposte domiciliari multiprofessionali, integrate e complesse. Sarebbe inappropriato erogare a tutti gli anziani solo il primo tipo di Adi.
Non si può escludere che qualche regione abbia attivato con il Pnrr qualche pacchetto per la non autosufficienza, tuttavia è difficile aspettarsi che questo sia l’obiettivo su cui hanno maggiormente puntato i programmi operativi regionali, proprio perché questi pacchetti non sono adeguatamente valorizzati dalle regole di monitoraggio del Pnrr. Con queste regole si rischia di sviluppare un servizio poco coerente con i bisogni, perdendo l’opportunità di fare sì che l’Adi si configuri come una valida alternativa ai ricoveri e come una soluzione utile a ritardare le istituzionalizzazioni.
La Legge 33 di riforma dell’assistenza agli anziani aveva riconosciuto proprio l’esigenza di tenere conto, nella definizione dei servizi, delle condizioni dell’anziano non solo cronico, ma anche complesso, con prestazioni di assistenza e cura di durata e intensità adeguate ai relativi bisogni della non autosufficienza. Il decreto attuativo in approvazione non sembra contenere elementi di novità rispetto al modello Adi del Pnrr, limitandosi a introdurre qualche azione di potenziamento per gli anziani autosufficienti, attraverso strumenti di sanità preventiva/telemedicina al domicilio.
Guardando al futuro, oltre alle preoccupazioni sulla continuità di finanziamento dell’Adi post Pnrr (gli stanziamenti per l’assunzione di generico personale delle Cdc dopo il 2026 non possono essere considerati, per finalizzazione, sostitutivi delle risorse Pnrr per le cure domiciliari), il nodo della necessità di promuovere lo sviluppo di un’Adi per la non autosufficienza resta aperto. Sarebbe importante che nei meccanismi attuativi della legge 33 si prevedesse un sistema di monitoraggio con indicatori in grado di rappresentare quanta “Adi qualificata” per i bisogni dei non autosufficienti erogano i vari Ssr. Potrebbe essere un incentivo per uno sviluppo equilibrato dell’Adi, non eccessivamente sbilanciato solo su alcuni dei suoi obiettivi.

* Analista di politiche sociosanitarie, collaboratrice dilombardiasociale.it e welforum.it


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