Aziende e regioni

Cosa fare per gli anziani soli e non autosufficienti

di Lorenzo Palleschi *

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24 Esclusivo per Sanità24

L’Italia sta affrontando una rapida transizione demografica, sociale e sanitaria: gli over 65 ammontano oggi a 14 milioni e si prevede che aumenteranno ulteriormente nel prossimo futuro, con un consistente ulteriore incremento soprattutto a carico del segmento di popolazione più fragile, gli over80, che raggiungeranno entro il 2050 i 9 milioni di unità. Una società vecchia, una società che invecchia, una società profondamente diversa con esigenze nuove e complesse. L’incremento dell’aspettativa di vita, non seguito da un corrispondente e parallelo aumento dell’aspettativa di vita in autonomia, ha determinato un incremento sostanziale del numero di persone disabili. D’altro canto, riduzione della natalità, instabilità dei vincoli familiari, e riduzione della numerosità dei membri dei singoli nuclei, pone le famiglie sempre più in crisi nel fronteggiare le necessità dei componenti più bisognosi e non più produttivi.
Il panorama quindi che emerge è quello di un incremento sostanziale di individui non autosufficienti, in una cornice familiare trasformata, dove le strutture tradizionali non riescono più a sostenere le crescenti richieste di assistenza. Si intensifica in Italia anche il fenomeno della solitudine, maggiore rispetto alla media europea, che oltre a riflettere una crisi sociale, rappresenta un’emergenza sanitaria, correlata ad aumento del rischio di numerose patologie croniche e di declino cognitivo. Affinché gli anziani possano continuare ad essere una risorsa per le famiglie e per la società, è necessario contenere il numero delle disabilità, che tendono invece ad aumentare con l’avanzare dell’età, tanto che oggi quasi il 60% di coloro che hanno una disabilità grave sono over75.
In questo scenario, l’unica via possibile e sostenibile è investire in prevenzione. In primo luogo, è possibile prevenire la disabilità - sia cognitiva che fisica – arrestando o ritardando la progressione della fragilità che ne costituisce il presupposto biologico, attraverso interventi multidominio che includano esercizio fisico, supporto nutrizionale, stimolazione cognitiva e gestione dei fattori di rischio per la non autosufficienza. Queste azioni mirate devono rivolgersi a coloro che hanno ancora un’autonomia preservata o parzialmente preservata e pertanto devono tenersi a domicilio, luogo elettivo dove assistere la persona anziana. In secondo luogo, è necessario intervenire preventivamente sulla disabilità incidente che riguarda il delicato momento del ricovero ospedaliero. È qui che si gioca una partita cruciale: evitare che un episodio acuto si trasformi in una disabilità permanente. Gli studi di settore attestano che il 30% degli ultra70enni ricoverati per una patologia acuta non direttamente disabilitante, viene dimesso dall’ospedale con un livello di autonomia inferiore rispetto alla situazione antecedente il ricovero; tale percentuale supera addirittura il 60% se ci spostiamo sui grandi anziani, gli oldest-old, over 85. Questo fenomeno ha conseguenze drammatiche sia sulla prognosi del paziente, con aumento del rischio di ulteriore progressione della disabilità, istituzionalizzazione e mortalità, che sul buon funzionamento dell’intero sistema ospedaliero.
La perdita di autonomia correlata al ricovero è infatti il principale fattore che ostacola o addirittura impedisce il rientro a domicilio del paziente, per impossibilità della famiglia di gestirne il carico assistenziale. Il risultato è un prolungamento improprio della degenza in ospedale che è stato stimato interessare il 75% degli anziani ricoverati in area medica, con un costo annuo stimato per il Ssn di oltre un miliardo e mezzo. D’altro canto, i principali fruitori degli ospedali sono oggi gli anziani e l’attuale scenario demografico ed epidemiologico rende difficile prevedere una significativa compressione del fenomeno dell’invecchiamento della popolazione ospedaliera nel prossimo futuro.
Unica soluzione possibile per comprimere il fenomeno della disabilità associata al ricovero è l’implementazione dell’utilizzo della Valutazione multidimensionale, di cui sono state recentemente pubblicate le Linee guida sul Snlg dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Evidenze scientifiche fortissime e incontrovertibili hanno dimostrato che l’approccio multidimensionale specificamente dedicato al paziente anziano acuto in ospedale riduce disabilità, istituzionalizzazione e mortalità. Per questo la Sigot invita a potenziare, negli ospedali, le Unità operative ospedaliere di Geriatria per acuti, reparti che utilizzano un modello clinico-assistenziale bio-psico-sociale, incentrato sulla funzione e non solo sulla malattia. Parallelamente, nei percorsi operativi sul territorio è auspicabile assegnare allo specialista geriatra il ruolo di esperto della complessità e professionista di sintesi della polipatologia, prevedendo la sua integrazione organica nella Unità Valutativa Multidimensionale per i casi di maggiore complessità.
La Sigot ha accolto con favore il Decreto legislativo proposto dal Consiglio dei Ministri in cui sono riportate le disposizioni attuative della Legge n.33 del 23 marzo 2023 sulla riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. La riforma ha valorizzato il metodo della Vmd, lo sviluppo dei servizi territoriali e domiciliari integrati, la digitalizzazione. Come presidente della Sigot, sollecito un’attenzione rinnovata e focalizzata verso l’anziano non solo come paziente ma come individuo, nella sua totalità di bisogni e di potenzialità. È necessario ridefinire gli approcci tradizionali e abbracciare un modello di assistenza che parta dal domicilio, luogo naturale dell’invecchiamento, per estendersi con continuità e coerenza in tutte le fasi dell’assistenza. Nel perseguire questo obiettivo, la riforma apre una strada di speranza e di impegno, su cui dobbiamo avanzare con determinazione.

* Presidente Società italiana di Geriatria ospedale e territorio (Sigot)


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