Aziende e regioni

Fisco/ Gestione del servizio mensa: lo “zelo” dell’Agenzia delle Entrate verso le Asst lombarde

di Roberto Caselli

S
24 Esclusivo per Sanità24

In un quadro generale di particolare “comprensione”, da parte dell’Amministrazione finanziaria, caratterizzato da una serie di provvedimenti nei confronti di certe categorie di contribuenti (compresi gli evasori), spicca lo zelo con cui la stessa agisce per incrementare il gettito, nei confronti di soggetti particolarmente deboli e indifesi, la cui esistenza e salute finanziaria sarebbe importante per tutti i cittadini.
Stiamo parlando delle Aziende del Ssn, che ormai da qualche anno sono in affanno per l’insufficienza delle risorse loro erogate e che non riescono più a soddisfare il più importante diritto costituzionale di ogni cittadino, sancito dall’art. 32, quello alla salute.
Per dir la verità questo zelo non è nato negli anni di questo Governo, ma è iniziato molto prima, anche se in certi casi la Corte di Cassazione ha costituito un ostacolo di fronte a pretese basate spesso su una interpretazione qualche volta “creativa” delle leggi in vigore.
Nell’ultimo decennio numerose controversie, come noto, hanno riguardato in particolare l’Irap (deducibilità dei contributi Inail, deducibilità dei contributi previdenziali ed assicurativi) e l’Ires (imposta sui fabbricati strumentali, aliquota agevolata); alcune di esse sono ancora in corso.
Sono state depositate, in questi ultimi mesi, le prime sentenze di varie sezioni della Corte di Giustizia di primo grado della Provincia di Milano, a fronte di una serie di accertamenti partiti nel 2023 dall’Agenzia delle Entrate, in parte dalla Direzione provinciale di Milano, in parte da quella regionale della Lombardia, contro alcune Asst (Aziende socio sanitarie territoriali), contestando la regolarità della gestione fiscale delle loro mense per i dipendenti, sia agli effetti dell’Iva , dell’Ires e dell’Irap.
Gli accertamenti erano stati preceduti, a fine 2021, dall’invio alle Asst della Provincia di questionari finalizzati a conoscere i dettagli della gestione di alcune attività, con particolare riferimento a quella della mensa dei dipendenti, e proseguiti nel 2022 con inviti a comparire e proponendo accertamenti con adesione.
Non si può fare a meno di ricordare che nel 2021 tutte le Aziende del Ssn, e in particolare quelle lombarde erano ancora impegnate nella lotta contro il Covid; non solo i medici e gli infermieri si prodigavano ogni giorno fino alla sfinimento, ma anche il personale amministrativo era occupato pure nell’organizzazione delle campagne vaccinali. Le risorse finanziarie si erano presto prosciugate: era proprio quello il momento adatto per cercare di incrementare il gettito fiscale con indagini a tappeto contro quei soggetti pubblici, la cui attività era essenziale perche tutti i cittadini potessero riprendere la vita normale?
Si tratta delle seguenti quattro sentenze della Corte di Giustizia di primo grado della provincia di Milano, emesse dal 17 ottobre al 14 novembre 2023:
Sezione 17 – n. 3598 depositata il 18 ottobre 23
Sezione 2 – n. 4606 depositata il 20 dicembre 23
Sezione 15 – n. 4587 depositata il 19 dicembre 23
Sezione 1 – n. 80 depositata l’8 gennaio 24
Le motivazioni degli accertamenti, così come risultano dalle quattro sentenze, sono sostanzialmente gli stessi.
L’ Agenzia delle Entrate aveva negato addirittura la natura commerciale del servizio di mensa aziendale perché i dipendenti pagano un corrispettivo inferiore al costo sostenuto dall’Asst, ente pubblico non commerciale. Con tale disconoscimento, l’Agenzia “espungeva” dalle relative dichiarazioni il “disavanzo”, pari alla differenza tra costi sostenuti per l’erogazione del servizio di mensa ed i corrispettivi rappresentati dai riaddebiti nei confronti dei dipendenti.
Per effetto di tale sottrazione, l’Agenzia delle Entrate aveva accertato:
• ai fini Ires, o una minore una perdita del reddito di impresa (che non determinava comunque tassazione) od un reddito ( anziché una perdita) con conseguente tassazione;
• ai fini Irap, un maggior valore della produzione netta e conseguentemente una maggiore imposta rispetto a quella dichiarata con questo metodo;
• ai fini Iva, una ripresa d’imposta per indetraibilità, calcolata applicando al succitato disavanzo l’aliquota del 4% (aliquota spettante per il servizio di mensa aziendale ).
Alle maggiori imposte Ires, Irap e Iva, l’Agenzia delle Entrate aveva aggiunto gli interessi in misura di legge, ma non le sanzioni, in applicazione dell’art. 6, c. 2, del D.lgs 471/97 (obiettive condizioni di incertezza delle disposizioni di legge).
La normativa e la prassi per la gestione della mensa aziendale
Prima di entrate nel merito delle controversie appare opportuno ricordare che la “gestione delle mense e la somministrazione di pasti” ancorché esercitata da enti pubblici, è oggettivamente “commerciale” sia agli effetti dell’Ires (come chiarito anche dalla Circolare ministeriale n. 26/11/562 del 29 agosto 1991, in epoca antecedente la nascita dell’Agenzia delle Entrate) sia agli effetti dell’Iva dall’art. 4 del Dpr 633/72 e che, per gli enti non commerciali, la detrazione dell’Iva sulle attività commerciali e l’opzione, in materia di Irap, del metodo del Valore della produzione netta e l’afferenza all’area commerciale agli effetti Ires, sono subordinate alla regolare tenuta della contabilità separata ai sensi dell’art. 144 (ex 109) del Tuir.
Ricordiamo anche che la contabilità separata agli effetti dell’Iva potrebbe comprendere tutte le attività commerciali, utilizzando il meccanismo del pro rata, ma che è conveniente separare le singole attività con i criteri di cui all’art. 36 del Dpr 633/72, vale a dire separando quelle esenti da Iva (cioè quelle di tipo sanitario) da quelle che sono caratterizzate da ricavi o corrispettivi soggetti ad Iva, con qualsiasi aliquota.
L’esempio classico di un’attività di questo tipo è rappresentata proprio dal servizio mensa per i dipendenti, che è caratterizzata dal corrispettivo, trattenuto ai dipendenti, soggetto all’Iva del 4%, e che consente di detrarre l’imposta “a monte” in tutte e tre le possibili alternative della gestione e precisamente : acquisto di derrate alimentari per una gestione diretta, gestione esterna del servizio, gestione con il sistema dei ticket restaurant.
Facciamo presente che l’art. 4 del Dpr 633/72 istitutivo dell’Iva, intitolato “Esercizio di imprese”, precisa, ai punti 4 e 5 :
4. Per gli enti indicati al n. 2) del secondo comma (enti pubblici), che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali… si considerano effettuate nell’esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività commerciali
5. Agli effetti delle disposizioni di questo articolo sono considerate in ogni caso commerciali, ancorché esercitate da enti pubblici, le seguenti attività:
(...omissis…)
d) gestione di spacci aziendali, gestione di mense e somministrazione di pasti;
È vero che la modalità prevista dalla Legge per la gestione fiscale della mensa dei dipendenti consente una riduzione del costo complessivo del servizio nel bilancio complessivo sia delle attività istituzionali che di quelle commerciali, ma questo avviene anche nei bilanci delle imprese private, per cui operare come vorrebbe l’ADE significherebbe operare una ulteriore discriminazione a carico del settore pubblico; secondo gli uffici lombardi dell’ Agenzia delle Entrate sarebbe corretto che le aziende pubbliche rinunciassero a questo recupero, evitando la tenuta della contabilità separata delle attività commerciali, peraltro obbligatoria per legge.
Le vere discriminazioni fra il settore privato e quello pubblico, sempre a danno di quest’ultimo, le troviamo in materia di Ires e di Irap, sia nella legislazione in vigore, sia in quella prevista nella legge delega per la riforma sanitaria. Si rinvia per questo tema al servizio pubblicato il 14 dicembre scorso “I 45 anni amari del Ssn fra articolo 32 disatteso e iniquità fiscali”.
Il fatto che sostanzialmente il servizio fornito sia sempre in perdita non modifica la normativa sulle detrazioni Iva . Qualora l’attività sia svolta con modalità commerciali , cioè con un “legame sinallagmatico tra prestazione e corrispettivo” e con un’organizzazione dedicata, è indifferente sia l’assenza del fine di lucro, sia la gestione in perdita dell’attività; non esiste peraltro alcuna gestione di mensa aziendale, sia nel settore pubblico che in quello privato, che non sia in grave perdita, ma non per questo esistono limitazioni legislative, né in materia di deducibilità dei costi in materia di imposte dirette, né per quanto riguarda la detrazione dell’Iva “a monte”.
L’indetraibilità dell’Iva a “monte” non sarebbe invece ammessa nel caso che l’Azienda avesse rinunciato a qualunque partecipazione del costo da parte dei dipendenti; in questo caso la mancanza di un corrispettivo, assoggettato ad Iva, farebbe venir meno il legame sinallagmatico sopra evidenziato. C’è poi la possibilità di una detrazione ridotta dal “pro rata” , qualora una parte dei corrispettivi venissero incassati in esenzione di imposta; questo accade qualora possano accedere alla mensa anche studenti iscritti a corsi di formazione organizzati da soggetti riconosciuti da pubbliche amministrazioni funzionalmente collegati all’Azienda.
È evidente che il Legislatore, nel comprendere la gestione della mensa fra le attività sempre commerciali, qualunque sia il soggetto, e ciò in parallelo con il trattamento agli effetti dell’Ires e dell’Irap, non ha posto alcun vincolo o condizione, per cui il servizio mensa in tutti gli enti pubblici deve essere considerato commerciale, indipendentemente dalla tipologia lavorativa dei dipendenti ( cioè anche nel caso che non ce ne fosse neanche uno impiegato in attività commerciali) e di conseguenza si applicano tutte le norme di cui al Dpr 633/72, comprese naturalmente quelle della detrazione dell’imposta “a monte”; non c’è certamente, nella legge, alcun riferimento al risultato economico della gestione, che preso a se stante ( e non nell’ambito di una gestione complessiva della sfera commerciale) è sicuramente in grave perdita per la sproporzione fra costi sostenuti e corrispettivi incassati dai dipendenti, sia nel settore privato che in quello pubblico (in applicazione della normativa dei Contratti del Pubblico impiego che disciplina le modalità di contribuzione dei dipendenti rispetto a ciascun pasto erogato) , ma questo non fa venir meno la “commercialità” delle operazioni, legata alla loro natura ed alla loro abitualità.
Del resto la posizione dell’Amministrazione finanziaria è sempre stata chiara a questo proposito: la Ris. 149 del 20 maggio 2002 chiarisce che si intende per “attività di natura commerciale” quella che determina reddito d’impresa ai sensi dell’articolo 51 ( ora 55) del TUIR e richiama quanto precisato dalla circolare n. 124/E del 12 maggio 1998, e cioè “ che nessun rilievo assume, invece, ai fini della qualificazione dell’ente non commerciale la natura (pubblica o privata) del soggetto, la rilevanza sociale delle finalità perseguite, l’assenza del fine di lucro o la destinazione dei risultati.
Sono trascorsi ormai oltre 50 anni dall’entrata in vigore dell’Iva e 37 da quella del Testo unico delle Imposte Dirette e nessun Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, per non parlare della pubblicistica su questo specifico argomento, aveva mai messo in dubbio la fisionomia giuridica e fiscale del servizio mensa dipendenti svolto da un soggetto pubblico...
In conclusione formuliamo l’auspicio che le due sentenze positive per le ASST (v. allegato) siano convincenti anche per l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Milano nonché per la Direzione regionale della Lombardia, perché i loro eventuali ricorsi alla Corte di giustizia di secondo grado e magari fino alla Cassazione, costituirebbero un accanimento che, a parere di scrive, sarebbe del tutto privo di fondamenta giuridiche fiscali, nazionali e comunitarie nei confronti di soggetti che in questi ultimi tempi sono alla ricerca di un difficile equilibrio fra le insufficienti risorse disponibili e i crescenti obblighi nei confronti dei cittadini, che chiedono niente di più che il rispetto della Costituzione. L’eventuale prosecuzione del contenzioso comporterebbe ingenti costi professionali, immobilizzo di risorse finanziarie e ulteriore crescita del disavanzo. In sostanza, non solo gli imprenditori e i lavoratori autonomi hanno il diritto, come sostiene la Presidente del Consiglio, a lavorare “indisturbati” dal Fisco, per creare ricchezza per il Paese; anche le aziende del Ssn dovrebbero avere il diritto di operare con maggiore tranquillità per produrre la ricchezza più importante per il Paese, la salute dei cittadini.


© RIPRODUZIONE RISERVATA