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Il principio della dignità del malato: formazione e ricerca per curare la cronicità

di Marco Trabucchi , Associazione italianadi Psicogeriatria e Dipartimentodi Medicina dei sistemi,Università di Roma - Tor Vergata

La cura delle persone affette da malattie croniche è uno dei principali problemi dei sistemi sanitari in tutto il mondo. Infatti, l'esplosione quantitativa dei fenomeni, frutto in buona parte delle ambiguità del progresso medico (cioè la sopravvivenza di cittadini che fino a qualche decennio fa morivano precocemente a causa delle malattie acute o della mancata cura per quelle croniche), è stata così rapida da non aver permesso l'elaborazione di contenuti culturali, prima ancora che scientifici, clinici e organizzativi, indispensabili per progettare un sistema di assistenza completamente nuovo.

Ciò ha dato spazio a grandi crisi, a tentativi senza successo, a proposte inconsistenti: tecnici, programmatori e decisori politici possono essere accomunati in una critica collettiva per questi fallimenti.

Solo da poco tempo si incominciano a intravedere proposte che qui e là sembrano affrontare seriamente i problemi degli ammalati cronici, senza la pretesa di risolvere tutte le dinamiche complesse poste dalla sofferenza umana, apprestando interventi settoriali, ma realizzabili, a costi contenuti e corredati dalla dimostrazione di efficacia.

Questi piccoli progressi non sono ancora inquadrabili in un sistema articolato; permettono però di superare il pessimismo indotto da fallimenti ripetuti, molto costosi in termini umani, oltre che economici.
Con questo non voglio certo illudermi che il sistema nel suo complesso abbia appreso come evitare ingiustizie, inadeguatezze, situazioni inaccettabili da ogni punto di vista, ma affermare che insistere solo sugli aspetti negativi non serve per mobilitare una giusta reazione che induce a proporre e costruire alternative credibili.

Quali potrebbero essere le nuove prospettive, in grado di creare speranza (non è lecito dimenticare a questo proposito che le denunce senza risposta diffondono tra i cittadini un senso di paura diffusa, perché i più fragili sentono la mancanza attorno a loro di una rete protettiva efficiente e sensibile, in grado di accompagnarli nelle difficoltà di tutti i giorni, indotte dalle loro stesse condizioni di salute)? Di seguito elenco schematicamente alcuni interventi realizzabili già oggi, senza alcun incremento dei costi.

Inizio dalla formazione degli operatori. Insegnare male cose inutili o insegnare bene cose utili ha lo stesso costo. Quindi perché non formare i professionisti della salute a una logica che vede sullo stesso piano le condizioni di acuzie e quelle di cronicità, le alte tecnologie con la continuità terapeutica, la capacità del singolo con il lavoro di gruppo? Per parlare specificamente dei medici, nei sei anni della scuola di medicina si potrebbero creare con facilità spazi per questi contenuti innovativi, purché si avessero la voglia e il coraggio di tagliare bizantinismi, ripetizioni, banalità, argomenti di interesse solo per il docente. Ricordandoci peraltro che all'università questo cambiamento non costerebbe un euro.
È però necessario costruire un'atmosfera culturale profondamente diversa da quella oggi prevalente, convincendo professori e studenti che occuparsi dei malati cronici complessi, polipatologici, con storie di malattie intricate è un compito di alta qualificazione professionale, certamente non inferiore a quello svolto da chi governa uno strumento di tecnologia avanzata.

Viene poi il tema della ricerca. Oggi in Italia si fa ricerca in ambito clinico-biologico e sui servizi in moltissimi sistemi tra loro separati (ministero della Salute, Miur, Cnr, Regioni, progetti europei, altri ministeri ecc.); il mancato coordinamento facilita sprechi, ripetizioni, attenzione a problematiche "facili" e fuga da quelle più innovative e difficili. Non costerebbe niente al governo organizzare un coordinamento e l'indirizzo delle ricerche verso le aree più sensibili del bisogno dei cittadini. Tra queste, in primo piano vi sarebbero certamente le ricerche sulle malattie croniche e le loro terapie (nel senso più ampio, dai farmaci ai "luoghi della cura" e loro organizzazioni, dalla sofferenza del singolo a quella del nucleo famigliare ecc.).

Da questi due approcci discenderebbero facilmente proposte e prassi adeguate alla cura delle malattie croniche e alla gestione dei relativi servizi, fondate su un pilastro centrale: il rispetto assoluto della dignità umana.

Non è la solita affermazione generica, ma un programma di lavoro: nessuna persona è così compromessa sul piano psicofisico da non essere titolare di un diritto al massimo delle cure. Se questo è vero, nessuna revisione della spesa sarebbe autorizzata a risparmiare sulle persone meno fortunate, solo perché sono affette da una malattia di lunga durata.

Vanno controllate con grande attenzione in particolare le proposte che sembrano apparentemente logiche, e quindi in grado di ricevere un consenso diffuso da chi è più sprovveduto; tra queste, ad esempio, la predisposizione di ospedali per malati cronici, separati da quelli per il resto della popolazione, quasi che le loro esigenze cliniche richiedano minor competenza, intensità di intervento, completezza dei servizi specialistici.

Il criterio della dignità impone alle aziende sanitarie di svolgere controlli strettissimi sulla qualità dei servizi prestati, in particolare nell'area delle cure prolungate e dell'integrazione socio-sanitaria.

Oggi in Italia nessuno permetterebbe servizi di chirurgia o di terapia intensiva di qualità sotto le norme, simili in tutti i Paesi: perché invece ciò è permesso nell'area della cura delle persone affette da malattie croniche? È la domanda chiave, che rivolgiamo a tutti gli attori del sistema, perché concorrano a garantire alle persone fragili un'assistenza degna della nostra tradizione.