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«Territorio e contratto unico in pole»

di Salvo Calì (segretario generale Sindacato dei medici italiani)

Tre i nodi da scogliere per modernizzare la sanità: superare il "malinteso federalismo", adeguare i servizi alla mutata domanda di salute, unificare la professione sotto un "unico cielo", con un nuovo contratto unico della categoria, siano convenzionati o dirigenti. Questi i temi principali del III Congresso nazionale del Sindacato dei medici italiani-Smi, che si terrà a Roma dal 23 al 26 ottobre: un'assise elettiva che vedrà 500 delegati, provenienti da tutta Italia, professionisti che operano nel pubblico, convenzionati e dirigenti, ma anche nel privato. Una sigla giovane, ma già rappresentativa in tutti i tavoli di trattativa, che è solo al suo terzo congresso, ma che affonda le sue radici nella lunga storia delle diverse realtà che l'hanno costituita. Una premessa necessaria per comprendere la stessa natura di un sindacato che sintetizza al suo interno le ricchezze e le contraddizioni di un Ssn che genera frammmentazione, incapacità progettuale e corporativismo. Nelle tre giornate cercheremo di sgomberare il terreno dalle manovre diversive tanto dei governi che si sono succeduti alla guida del Paese, quanto delle Regioni, come nel caso della sciagurata legge Balduzzi, con i facili slogan sull'h24 e inseguendo modelli organizzativi rigidi e non funzionali (case della salute, ucp…) alla soluzione di problemi come l'invecchiamento della popolazione, la cronicità e la non autosufficienza. Il tutto con la solerte collaborazione di alcuni sindacati e delle istituzioni ordinistiche e previdenziali. O ancora, quando si vanneggia sulla necessità di ridurre gli accessi ai pronto soccorsi, nonostante si continuino a chiudere corsie e tagliare posti letti e senza nel contempo investire risorse sul territorio, potenziando la guardia medica e il 118 con strumentazione e strutture adeguate. Anzi, in alcune realtà hanno chiuso postazioni. Per non parlare dei convitati di pietra del Ssn: blocco del turno over e il massiccio ricorso al precariato.
Dobbiamo, invece, ridefinire gli spazi di intervento dello stato sociale per disegnare un nuovo orizzonte di assistenza per i cittadini e ripensare gli assetti organizzativi del Ssn, completando il processo riformatore, disegnato originariamente dalla legge 833/78. Bisogna superare l'asimmetria tra ospedale e territorio e promuovere una moderna e professionalmente qualificata rete che risponda ai bisogni dell'urgenza e dell'emergenza.
Voglio indicare a titolo esemplificativo due interventi che consideriamo prioritari, nel medio e nel lungo termine.
Il primo: ridefinire gli ambiti di azione nel territorio, assumendo quale paradigma principale la cronicità, procedendo alla reale presa in carico dei pazienti cronici, con l'adozione di standard prestazionali condivisi e nazionali (Drg del territorio), quantificando la domanda e quindi organizzando adeguatamente l'offerta sulla base dei costi sostenibili, chiedendo la partecipazione alla spesa nelle forme moderne della mutualità integrativa (già diffusa in diverse categorie di lavoratori) per le prestazioni non esigibili completamente a titolo gratuito.
Il secondo: il contratto unico. L'idea, semplificando, è quella di un accesso generalizzato al Ssn con un rapporto di lavoro non riferibile alla dipendenza o alla convenzione, individuabile come "para subordinato" a 38 ore, con una parte fissa e una quota variabile e di risultato (per l'assistenza primaria si può collegare alle scelte e oltre che alla posizione funzionale in azienda). Ridisegnando, infine, gli spazi per l'attività libero professionale. Si rimodulano, così, anche le tutele e si prefigura un'alternativa credibile al precariato, ora imperante.
Su queste due prime sfide possiamo costruire una grande unità dei medici. Vediamo chi le raccoglie…o se si proseguirà con il conformismo di questi anni.