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FNOMCEO/ Sì alla normativa sull'atto medico e recepimento (per legge) del Codice deontologico

di Pierantonio Muzzetto e Salvatore Amato (Fnomceo)

Sì, alla legge sull'atto medico, come anche, una volta emendato, al doveroso recepimento per legge del Codice deontologico dei medici (CD), oggi relegato a fonte di riferimento giuridico secondario per la suprema Corte. Il percorso dell'atto medico è stato lungo, con convegni nazionali, seminari di studio coordinati dagli Ordini di Padova e di Parma ed anche con la collaborazione fattiva di quello di Roma. Ad essi hanno partecipato le società scientifiche, illustri esponenti del mondo medico legale, come ad esempio Daniele Rodriguez, o giuristi come Gianfranco Iadecola e si è avuta la condivisione del mondo sindacale. La formulazione originaria, che si ritrova anche nell'articolato del ddl D'Incecco, è stata propedeutica al CD del maggio scorso ed è alla base del nostro programma di "Costruire insieme la professione" (www.insiemefnomceoblog.wordpress.com ). Sul tema è intervenuta la neoeletta presidente Fnom, Roberta Chersevani .

Nell'ultimo CD ha subito una prima trasformazione nel titolo, divenuto "doveri e competenze del medico", e anche nel contenuto con una significativa integrazione dell'art. 3, voluta dal presidente sen. Amedeo Bianco, funzionale, oggi possiamo dire, a posizioni sostenute dalla sen. Annalisa Silvestro e dal loro schieramento a palazzo Madama. Lo dimostra l'inserimento di tre parole a specificazione delle competenze esclusive, che sono integrate e ampliate dallo sviluppo delle innovazioni organizzative (n.d.r.regionali) in sanità. Un passaggio fonte di discussione in ambito medico, su cui trovano giustificazione parte delle argomentazioni politiche della sen. Silvestro e della neo presidente Ipasvi. Entrambe esprimono contrarietà al ddl D'Incecco e lo considerano inopportuno ancorché legittimato dal dettato costituzionale e da fonti legislative autorevoli, perché riportando la dizione originaria dell'atto medico declinato nell'art.3 del CD, lo priva di quelle tre parole che giustificano le politiche regionali e tolgono il medico da quella posizione di sudditanza nei riguardi dei disposti legislativi regionali nei quali è stato relegato. A parte un'eventuale giustificazione politica ed una ancorché lecita rivendicazione categoriale, la loro contrarietà all'atto medico suonerebbe strana almeno per un fattore, perché nel metterlo in discussione di fatto metterebbero in discussione tutti gli atti professionali sanitari, infermieristico compreso, peraltro riconosciuto per legge. In realtà il vero problema non è tanto il ddl sull'atto medico come fatto di principio, bensì per i risvolti che ne deriverebbero se diventasse, come auspichiamo, legge dello Stato. Perché cadrebbero eventuali dipendenze da assetti regionali e ciò costituirebbe un ostacolo alle sperimentazioni sanitarie, a cui peraltro, il medico ora dovrebbe sottostare "anche" deontologicamente, proprio in ossequio dell'art.3 del CD, e sarebbe posto un freno all'applicazione estensiva del "comma 566" dell'art 1 della legge di stabilità. Quello che ha fatto affermare alla senatrice Silvestro: «non siamo medici bonsai». Il freno sarebbe posto ad esempio alle sperimentazioni toscane o emiliano romagnole e, magari, al task shifting, che alla fine dei conti trovano giustificazione nella minor spesa e in termini brutali nel risparmio, ma sulla salute della collettività. Non va nascosto un ulteriore motivo, sicuramente più prosaico: a chi tocchi, cioè, la bacchetta di direttore d'orchestra del sistema sanitario, avendo già dato per superata la figura del medico che da sempre ha il compito e la responsabilità di farlo. Dunque, atto medico ostacolo all'innovazione da "566".

Elementi da considerare attentamente anche per una serie di considerazioni collaterali e conseguenti che partono da alcuni comprensibili interrogativi: la laurea delle professioni sanitarie è equiparabile a quella del medico, così da sostituirlo nella funzione? È questo laureato è garante della qualità delle cure dell'ammalato, vero "destinatario interessato"? e anche il Ssn ne sarebbe davvero garantito? Certamente, se i percorsi formativi fossero uguali e si riconoscessero funzioni mediche agli infermieri, come alle altre figure professionali, che non sono i medici "bonsai", sarebbe evidente che questi avrebbero pieno titolo alla diagnosi e alla cura. Sarebbero tutti dottori, però dottori in quanto medici. Ma questo rientra nel novero delle ipotesi. Comunque, qualora si pensasse ad un'unica figura, occorrerebbe unificare i percorsi formativi costituendo uno solo corso di studi di medicina, e nel qual caso i medici laureati non sarebbero bonsai, ma, rimanendo nella botanica, piuttosto alberi di maggior ed alto fusto della famiglia delle bombacaceae.

Ogni atto del sistema, in verità, risponde a una prevalente logica di risparmio ed occorre uno sforzo della politica per ritornare alla realtà, così come l'on. D'Incecco ha fatto, richiamando a principi più realistici e soprattutto non abbandonando l'obiettivo finale che è quello di servizio per la collettività. La risoluzione dei problemi deve perciò passare attraverso una seria programmazione che preveda un articolato armonico delle professioni, il cui sviluppo è anch'esso armonico e correlato all'efficienza e all'efficacia che, in ambito di salute, non è un aspetto secondario. E si ritiene che possa avvenire una volta che si identifichino i veri obiettivi di salute e si proceda a considerare le responsabilità professionali graduate e specifiche in base alle figure sanitarie e ai loro ambiti d'azione. Il ddl sull'atto medico ha il merito di riportare il discorso sui valori della professione non solo del medico, ossia dei requisiti, delle responsabilità e, ancor prima, delle competenze esclusive, bensì dello sviluppo organico di tutte le professioni una volta però inserite in un piano d'interventi e di sviluppo che non può immaginarsi se non armonico. Ma anche riporta al concetto di competenze esclusive e di responsabilità altrettanto esclusive, che, in base al paradigma della miglior pratica, derivano dalla specificità del percorso formativo che deve essere peculiare per ogni singola professione, soprattutto in tutto il territorio nazionale. Per cui: a formazione specifica consegue competenza specifica, e da questa specifica responsabilità.

La vera necessità in ambito sanitario è non perdersi in inutili contrapposizioni che diverrebbero perniciose: occorre invece parlare in termini propositivi. Allo stesso modo è assolutamente indispensabile bloccare la politica d'arretramento del medico a fronte dell'innalzamento "dell'asticella" delle professioni sanitarie, che, pur nel massimo rispetto, non sono e non dovranno essere professioni mediche. Perché se così non fosse varrebbe il discorso fatto prima per le facoltà "fotocopia". Nessuna rivendicazione superficiale, perciò, ma fermo contrasto a una deriva politica della professione del medico coll'esaltazione del neo medico no-bonsai che lo sostituisca o lo affianchi.