Dal governo

Manovra sui tagli: per il personale i conti non tornano

di Stefano Simonetti

Il 15 aprile scorso si è svolta un'importante riunione della Conferenza Stato-Regioni con l'obiettivo di chiudere l'Intesa prevista dal Patto per la Salute per garantire in modo condiviso la programmata riduzione della spesa sanitaria. Tra le misure di intervento è possibile rinvenire anche un'azione nei confronti del personale. Si tratta del breve paragrafo C.2 con il quale viene pianificata la riduzione delle strutture a seguito dell'applicazione del regolamento sugli standard.
I risparmi attesi deriverebbero dalla riduzione del numero complessivo delle strutture e dal conseguente fatto che molti dei rispettivi titolari perderebbero parte del trattamento accessorio correlato a quelle strutture stesse. Rispetto ai primi testi conosciuti sono ora sparite cifre e proiezioni economiche - francamente fantasiose - e il contenuto appare meramente programmatorio. Tuttavia alcune riflessioni possono essere fatte.
Innanzitutto va detto con grande chiarezza che ogni qual volta si intendono ottenere risparmi di spesa attraverso la soppressione di strutture va posta la condizione pregiudiziale che i dirigenti interessati vadano contestualmente in pensione. Solo a questa condizione i risparmi che si presume di conseguire diventano esigibili. Infatti va ricordato che in caso di soppressione di strutture per ristrutturazione aziendale l'articolo 39, comma 8, del Ccnl dell'8 giugno 2000 prevede che «sarà conferito... un incarico di pari valore economico» .
Questa clausola di tutela contrattuale comporta che agli ex direttori di struttura complessa si può togliere soltanto l'indennità di struttura complessa e la IV fascia dell'indennità di esclusività mentre agli ex responsabili di struttura semplice addirittura nulla perché non hanno indennità specifiche legate all'incarico.
Inoltre per veicolare l'operazione in reali risparmi servirà necessariamente un atto legislativo - come si ricorda nella prima riga del testo dell'Intesa - che per la fattispecie specifica che stiamo trattando dovrà essere una norma di legge specifica (e imperativa per le Regioni) che imponga la riduzione del fondo in caso di soppressione di strutture. Allo stato della normativa quella che si presterebbe di più è l'articolo 2, comma 72, della legge 191/2009 che però, oltre che lasciare le determinazioni di merito alle Regioni, è troppo generica.
Il citato paragrafo C.2 ricorre invece all'articolo 9, comma 2-bis, della legge 122/2010, ma è un clamoroso passo falso perché tale disposizione ha cessato i suoi effetti il 31 dicembre 2014. Si potrebbe senz'altro ricorrere all'articolo 9, comma 32, della stessa legge 122/2010 (il famoso decreto Tremonti) ma tale riduzione però può essere applicata soltanto alla scadenza dell'incarico. Questa variabile indipendente non consente di poter stimare alcun dato finanziario di risparmio.
Ecco perché, in conclusione, è necessaria una norma ex novo e dedicata all'obiettivo altrimenti l'intera operazione di riduzione delle strutture potrebbe rivelarsi sostanzialmente inutile. Una opportunità che potrebbe essere utilizzata positivamente a legislazione invariata sarebbe infine quella di avvalersi del combinato disposto dell'articolo 2, comma 3, della legge 125/2013 e dell'articolo 2, comma 14, della legge 135/2012. Tali norme consentono a chi viene posto in esubero per soppressione del posto di poter eccezionalmente beneficiare dei requisiti pensionistici pre-Fornero. È di tutta evidenza il vantaggio reciproco che trarrebbero ambedue le controparti: l'azienda sanitaria datore di lavoro si potrebbe adeguare agli standard riducendo le strutture eccedenti in modo, diciamo, incruento (cioè senza mobilità obbligatoria in incarichi inferiori o, peggio, senza il collocamento in disponibilità) e i dirigenti interessati potrebbero andare in pensione in pratica con le regole della vecchia pensione di anzianità, evitando conflitti interni e demansionamenti che con le regole della nuova pensione di vecchiaia potrebbero durare molti anni.


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