Dal governo

Le regole per una spesa sanitaria equa e coerente che non metta in ginocchio le Regioni del Sud

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

Ciò che trovo inconcepibile è negare le proprie idee, da sostenere con innegabile coerenza specie allorquando scolpite nella Costituzione. E’ ciò che sta accadendo con la lotta alla spesa storica che ha letteralmente massacrato il Mezzogiorno. Un criterio sul quale molti, forse perché giovani, hanno ancora le idee confuse. Di quelli meno giovani, sono solo in pochi che ricordano i decreti Stammati del 1977 (un anno prima della grande riforma che istituì il SSN con la cancellazione delle orripilanti casse mutue) attraverso i quali venne introdotto questo aberrante criterio, sostitutivo delle entrate tributarie degli enti territoriali. Un criterio mandato a casa dall’art. 119 della Costituzione ma che è, dopo 23 anni, ancora lì a rovinare Regioni ed enti locali, le prime soprattutto nella erogazione della sanità. Spesa storica nel senso di assicurare al sistema autonomistico territoriale la continuità delle risorse percepite sulla base delle spese sostenute, eventualmente aumentate o diminuite in base agli andamenti economici. Tutto dunque affidato a formule veramente impensabili per quegli enti che, come prescrive la Costituzione, devono assicurare uniformemente i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale. Ciò soprattutto per l’assistenza sociosanitaria sulla quale si esplica ogni anno una inutile gara su quanto è stato dato, in più o in meno, rispetto all’anno prima senza pensare a quanto occorra per essere più uguali, a tal punto da non dovere ricercare la buona sanità in quelle regioni che hanno imprenditorializzato la mobilità attiva per miliardi di euro.

La coerenza sempre, specie quando le idee sono giuste

Oggi c’è la mia sinistra che si dimentica di tutto ciò e rinnega se stessa. Meglio, le battaglie sostenute negli anni per garantire al sistema territoriale quanto gli occorresse per assicurare uguaglianza, specie tra nord e sud.

La soluzione la ebbe a trovare con la proposta di revisione della Costituzione del 2001. Quella riscrittura che, al di là di alcune anche gravi disattenzioni, decise due cose fondamentali:

-l’introduzione dei LEP garanti per tutti, nessuno escluso, dei diritti civili e sociali;

-la radicale modifica del finanziamento pubblico, assolutamente alternativo alla spesa storica, basato sulla perequazione, funzionale ad assicurare a Regioni ed enti locali di ricevere le risorse mancanti per assicurare i LEP.

Una soluzione condivisibile e apprezzata che rimase pura teoria per undici Governi e cinque legislature. Un problema che rintraccia le responsabilità in tutti coloro che vi hanno partecipato a vario ma anche uguale titolo decisionale.

Accade invece , ed è qui la prova della incoerenza, che si riprende a discutere e decidere (legge di bilancio per 2023, commi 791-801bis) di individuare i Lep e di determinare i costi e i fabbisogni standard per sostenerli in tutto il Paese e in favore della Nazione allargata a chi non ve ne fa ancora parte per errori di disciplina del fenomeno migratorio. Invero, a ciò non ha fatto ampio seguito la regolazione della perequazione, posta a tutela dell’uguaglianza e dell’uniformità, della quale invece le politiche progressiste avrebbero dovuto anche arrivare a fare le barricate in Parlamento. Invece no. Si prende di mira tutto questo allo scopo di contrapporsi al regionalismo differenziato così come proposto nell’originario DDL Calderoli, emendato e approvato in Senato il 23 gennaio scorso.

Le prove della incoerenza ma anche dell’errore di ipotesi

Ed è qui che il discorso si complica sino a renderlo poco comprensibile.

Ciò accade per una serie di motivi.

Il primo è quello che l’autonomia legislativa differenziata venne ad essere scritta nella Costituzione all’art. 116, comma 3, dal centro sinistra e approvata dal popolo italiano nel referendum confermativo celebrato il 7 ottobre 2001 che diede modo così di essere tradotto in legge costituzionale, la n. 3/2001. A tutto questo fece ovviamente seguito la legge delega n. 42/2009, sostanzialmente copiata dal DDL che fu approvato dal Governo presieduto da Prodi il 3 agosto 2007, approvata in Parlamento con 188 astensioni del centrosinistra e 32 voti contrari dell’Udc.

Il secondo è quello di considerare che tutti i conseguenti decreti delegati furono condivisi da tutta la politica, con particolare riferimento al d.lgs. 68/2011. Con questo si diede corso alla condivisione generale sia della perequazione ordinaria che infrastrutturale (d.lgs. 88/2011), cui si diede anche seguito con il DM 26 novembre 2010, rimasto però lettera morta.

Il terzo è che il primo DDL delega attuativo del regionalismo rafforzato è stato elaborato e firmato nel 2019 da Francesco Boccia, in una lettera non affatto diversa dal DDL a firma Mariastella Gelmini del 2023 e da quello di Calderoli.

Il quarto, e più preoccupante, è quello che si sta facendo guerra, piuttosto che alle procedure in parte non condividibili della legge attuativa del regionalismo asimmetrico, alla riconduzione dei LEP alle materie garanti dei diritti civili e sociali. La si fa pretendendo risposte impossibili a darsi da parte di chiunque, del tipo quanto costano e dove sono i soldi per assicurarli senza accorgersi della illogicità delle domande che, se condivise:

1.avrebbero dovuto rintracciare le risposte all’anno della loro introduzione (2001) ovvero nei 22 anni a seguire;

2.meriterebbero un grave atto di coscienza a non sapere che il quantum della loro copertura dipende da due cose;

3.sapere quali siano e in cosa consistano i LEP, sub judice del CLEP;

4.pretendere con forza la riscrittura dei LEA, dal momento che la loro individuazione, nonostante le 71 pagine, appartiene al passato, non tiene conto della brutta esperienza Covid, non considera affatto il futuro al lordo dell’ingresso a regime della intelligenza artificiale;

5.conoscere il valore dei costi standard per ogni Lep, ancora sub judice della apposita Commissione istituita con la legge 197/2022;

6.avvedersi con accortezza scientifica dei fabbisogni standard delle Regioni a statuto ordinario competenti ad assicurare i Lep ai sensi dell’attuale lettera della Costituzione, rinviati eventualmente ad altre materie qualora dovessero decidere di accedervi a mente dell’art. 116, comma 3, della Carta;

7.trascura che a decidere le coperture di tutto ciò dovranno essere i Governi e i Parlamenti mediante le ricorrenti leggi di bilancio, annuali e triennali, e non già un improvvisato “ragioniere”, del tipo quelli di cui si leggono saldi in giro, frutto di una pericolosa fantasia.

Da qui, la più importante delle coerenze, alla quale in molti sono ancorati prescindendo dalle ricorrenti lotte politiche, appartiene a quei diritti fondamentali da essere sempre e comunque protetti, così come avvenne con la revisione costituzionale del 2001.


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