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Istat/ Altro minimo storico per le nascite: 379mila bambini nel 2023. La buona notizia: mortalità in forte calo (-8%) dopo la crisi Covid

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24 Esclusivo per Sanità24

“Con appena 379mila bambini venuti al mondo, il 2023 mette in luce l’ennesimo minimo storico di nascite, l’undicesimo di fila dal 2013. Un processo, quello della denatalità, che dal 2008 (577mila nascite) non ha conosciuto soste. Calano anche i decessi (661mila), l’8% in meno sul 2022, dato più in linea con i livelli pre-pandemici rispetto a quelli che hanno caratterizzato il triennio 2020-2022”. A certificare la crisi demografica (pure se con la buona notizia di un calo nei decessi) è l’Istat, che rileva nel Paese un saldo naturale ancora fortemente negativo (-281mila unità).
Nel dettaglio, l’Istituto nazionale di statistica riporta i “freddi” numeri di sei neonati e 11 decessi per 1.000 abitanti. Con un numero medio di figli per donna pari a 1,20 e una longevità di +6 mesi rispetto al 2022, corrispondente a una speranza di vita alla nascita pari a 83,1 anni.

Focus sulla denatalità. Secondo i dati provvisori, i nati residenti in Italia sono 379mila, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (era 6,7 per mille nel 2022). La diminuzione delle nascite rispetto al 2022 è di 14mila unità (-3,6%). Dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è di 197mila unità (-34,2%).
La riduzione della natalità - riporta ancora l’Istat - riguarda indistintamente nati di cittadinanza italiana e straniera. Questi ultimi, pari al 13,3% del totale dei neonati, sono 50mila, 3mila in meno rispetto al 2022.
La diminuzione del numero dei nati residenti del 2023 è determinata sia da una importante contrazione della fecondità, sia dal calo della popolazione femminile nelle età convenzionalmente riproduttive (15-49 anni), scesa a 11,5 milioni al 1° gennaio 2024, da 13,4 milioni che era nel 2014 e 13,8 milioni nel 2004. Anche la popolazione maschile di pari età, tra l’altro, subisce lo stesso destino nel medesimo termine temporale, passando da 13,9 milioni nel 2004 a 13,5 milioni nel 2014, fino agli odierni 12 milioni di individui.
Il numero medio di figli per donna scende così da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, avvicinandosi di molto al minimo storico di 1,19 figli registrato nel lontano 1995.
Un calo che attraversa il Paese. La contrazione del numero medio di figli per donna interessa tutto il territorio nazionale. Nel Nord diminuisce da 1,26 figli per donna nel 2022 a 1,21 nel 2023, nel Centro da 1,15 a 1,12. Il Mezzogiorno, con un tasso di fecondità totale pari a 1,24, il più alto tra le ripartizioni territoriali, registra una flessione inferiore rispetto all’1,26 del 2022. In tale contesto - sottolinea ancora l’Istat - riparte la posticipazione delle nascite, fenomeno di significativo impatto sulla riduzione generale della fecondità, dal momento che più si ritardano le scelte di maternità più si riduce l’arco temporale disponibile per le potenziali madri. Dopo un biennio di sostanziale stabilità, nel 2023 l’età media al parto si porta a 32,5 anni (+0,1 sul 2022). Un indicatore in aumento in tutte le ripartizioni e che “continua a registrare valori nel Nord e nel Centro (32,6 e 32,9 anni) superiori rispetto al Mezzogiorno (32,2), dove però si osserva l’aumento maggiore sul 2022 (era 32,0)”. Passata la turbolenta fase pandemica e immediatamente post-pandemica, a cui si devono attribuire parte delle irregolari variazioni congiunturali rilevate, la discesa della fecondità sembra riprendere ovunque, accompagnata da una rinnovata spinta alla posticipazione. Nord e Mezzogiorno, dopo aver registrato lo stesso livello di fecondità nel 2022, si discostano nuovamente. Il Mezzogiorno, dopo venti anni, torna ad avere una fecondità superiore a quella del Centro-Nord.
I matrimoni “non impattano”. Secondo il Report Istat “non è nemmeno di supporto alla natalità, almeno non più come un tempo, l’andamento dei matrimoni, 183mila nel 2023 (-6mila sul 2022)”. Tra questi risultano in forte riduzione quelli celebrati con rito religioso (-8mila) mentre aumentano quelli celebrati con rito civile (+2mila). Complessivamente, nel 2023 “il tasso di nuzialità continua lievemente a scendere, portandosi al 3,1 per mille dal 3,2 del 2022. Il Mezzogiorno continua a essere la ripartizione con il tasso più alto, 3,5 per mille contro 2,9 per mille di Nord e Centro. Allo stesso tempo è però l’area in cui la contrazione sul 2022 risulta maggiore”.
Le conferme: meno di un figlio per donna in Sardegna alla conferma Trentino Alto Adige. Il Trentino-Alto Adige, con un numero medio di figli per donna pari a 1,42, continua a detenere il primato della fecondità più elevata del Paese, sebbene sia tra le Regioni con la variazione negativa maggiore rispetto al 2022 (1,51). Seguono Sicilia e Campania, con un numero medio di figli per donna rispettivamente pari a 1,32 e 1,29 (contro 1,35 e 1,33 nel 2022). In queste tre regioni le neo-madri risultano mediamente più giovani che nel resto del Paese: 31,7 anni l’età media al parto in Sicilia; 32,2 anni in Trentino-Alto Adige e Campania.
La Sardegna continua a essere la regione con la fecondità più bassa. Stabilmente collocata sotto il livello di un figlio per donna per il quarto anno consecutivo, nel 2023 si posiziona a 0,91 figli (0,95 nel 2022). La precedono altre due regioni del Mezzogiorno: la Basilicata, dove il numero medio di figli per donna scende da 1,10 nel 2022 a 1,08 nel 2023; il Molise rimasto stabile a 1,10. La Sardegna e la Basilicata sono, insieme al Lazio, le tre regioni in cui il calendario riproduttivo risulta più posticipato, con età medie al parto rispettivamente pari a 33,2, 33,1 e 33 anni.
“Nel panorama generalizzato di una fecondità bassa e tardiva, estesa a tutte le aree del Paese, con differenze lievi tra le tre ripartizioni, si evidenziano condizioni di eterogeneità anche all’interno di una stessa ripartizione geografica”, rileva ancora l’Istat. Nel Mezzogiorno, ad esempio, coesistono regioni con più alta fecondità (Sicilia, Campania e Calabria) e regioni con livelli minimi (Sardegna, Basilicata e Molise). Nel Nord, tre regioni su quattro del Nord-ovest (Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Liguria, Piemonte) evidenziano una fecondità al di sotto della media nazionale (1,20 figli per donna), mentre tutte quelle del Nord-est ne evidenziano una al di sopra. Più coeso il Centro, dove solo le Marche, con un tasso di 1,17 figli (unica a presentare un minimo vantaggio rispetto all’1,16 del 2022) si distingue leggermente da Toscana, Lazio e Umbria (1,12, 1,11 e 1,10 figli rispettivamente).
A livello provinciale, il più alto numero medio di figli per donna si registra nella Pa di Bolzano (1,56), che presenta però una significativa discesa rispetto al 2022 (era 1,64). Seguono Gorizia (1,42), Palermo (1,39), Reggio Calabria (1,37), Ragusa (1,36) e Catania (1,36). Tutte le Province sarde, ai minimi nazionali, presentano una fecondità inferiore al figlio per donna: da quelle di Cagliari e del Sud Sardegna (0,86 per entrambe) a quelle di Oristano (0,93), Sassari (0,95) e Nuoro (0,99). A queste seguono la Provincia di Massa Carrara (1,02), nel Centro, e quella di Verbano-Cusio-Ossola (1,06), nel Nord.Decessi in calo e circa sei mesi di speranza di vita in più
Aumenta la speranza di vita. I decessi (661mila nel 2023) registrano una diminuzione di 54mila unità sull’anno precedente. Il calo del numero totale di eventi coinvolge soprattutto la popolazione anziana, all’interno della quale come noto si concentra la gran parte dei decessi. Il 75% della diminuzione rilevata interessa, in particolare, individui di almeno 80 anni di età. Una fascia di popolazione, quest’ultima, particolarmente colpita negli anni della pandemia durante i quali è risultata sottoposta a un significativo eccesso di mortalità anticipata, soprattutto nella sua componente più fragile. La mortalità precoce di tali individui osservata a varie ondate nell’arco del triennio 2020-22, anni durante i quali si sono avuti rispettivamente 740mila, 701mila e 715mila decessi, i massimi mai riscontrati in precedenza, ha comportato un ritorno quasi ai livelli di mortalità di epoca pre-pandemica. Nel 2023, infatti, il tasso generico di mortalità si assesta sull’11,2 per mille. Per quanto ancora superiore a quello del 2019 (10,6 per mille), anche per un connaturato effetto crescita legato alla struttura per età della popolazione, è ben inferiore al 12,1 per mille del 2022 e allo stesso 12,5 per mille del 2020.
In tali condizioni - spiega l’Istat - il calo della mortalità si traduce in un cospicuo balzo in avanti della speranza di vita alla nascita che si porta a 83,1 anni nel 2023, guadagnando sei mesi sul 2022.
Tra gli uomini la speranza di vita alla nascita raggiunge gli 81,1 anni (+6 mesi sul 2022) mentre tra le donne si riscontra un dato di 85,2 anni e un guadagno sul 2022 leggermente inferiore a quello maschile (+5 mesi). Cosicché, mentre gli uomini hanno recuperato i livelli di sopravvivenza ante pandemia (precisamente 81,1 anni nel 2019), le donne presentano ancora margini di recupero (85,4 anni nel 2019).
Nel Nord la speranza di vita alla nascita è di 81,7 anni per gli uomini e di 85,7 anni per le donne; i primi guadagnano sette mesi sul 2022, le donne invece sei. Il Trentino-Alto Adige si conferma la regione con la più alta speranza di vita sia tra gli uomini (82,2) sia tra le donne (86,5); la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste è invece la regione che consegue il maggior guadagno sull’anno precedente, un anno per gli uomini e otto mesi per le donne.
Nel Centro la speranza di vita alla nascita è poco inferiore a quella del Nord, 81,6 anni per gli uomini e 85,6 anni per le donne: per i primi l’incremento sul 2022 è di sei mesi, mentre per le seconde di quattro.
La speranza di vita più alta tra gli uomini si rileva in Toscana (81,9), per le donne nelle Marche e in Umbria (85,9).
Nel Mezzogiorno si registrano i valori più contenuti della speranza di vita alla nascita, 80 anni per gli uomini e 84,3 anni per le donne. Per gli uomini si profila un campo di variazione che va da un minimo di 79,4 anni in Campania a un massimo di 80,6 anni in Abruzzo. Lo stesso che si riscontra tra le donne, dove tuttavia si passa dagli 83,6 anni della Campania agli 85,5 dell’Abruzzo. Se dunque il Trentino-Alto Adige si presenta quale regione più longeva, la Campania dal suo canto continua a presentare la minor aspettativa di vita. Tra le due realtà territoriali si evidenzia nel 2023 un divario di 2,9 anni considerando nell’insieme uomini e donne, che non accenna affatto a diminuire ma semmai a crescere (era 2,2 nel 2003, 2,7 nel 2013).
Il saldo migratorio. L’Istat fotografa “più immigrati e meno emigrati” dell’anno precedente: il saldo migratorio netto sale da +261mila nel 2022 a +274mila nel 2023. La .Popolazione residente straniera in crescita: 5 milioni e 308mila individuial 1° gennaio 2024, +166mila sull’anno precedente.



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