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Previdenza: sul recupero dell’inflazione l’Enpam vince sull’Inps

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

La rivalutazione delle pensioni erogate dall’ Enpam ai medici iscritti alla loro Cassa previdenziale c’è, stata anche quest’anno come ogni anno. Ma per riallineare l’importo delle pensioni al costo della vita, la Fondazione ha dovuto attendere il via libera dei ministeri vigilanti. L’Enpam, infatti, ha deliberato, anche per il 2024, di rivalutare al 75 per cento dell’indice dell’inflazione le pensioni delle gestioni del Fondo di previdenza generale e del Fondo della medicina convenzionata ed accreditata fino al limite di 4 volte il trattamento minimo Inps (che significa circa 2.272 euro lordi al mese) e al 50 per cento dell’indice l’eventuale parte della pensione mensile che supera questo limite. Nel 2024 l’Istat ha registrato un aumento delle pensioni del 5,4%.
La rivalutazione, ricevuto il parere favorevole dei ministeri, decorre dal 1° gennaio 2024. Il pagamento, solitamente, arriva in primavera insieme agli arretrati dei mesi precedenti. La Fondazione aveva, anche, deliberato l’anno scorso la rivalutazione del 100 per cento rispetto all’indice Istat per l’importo minimo della pensione di inabilità assoluta e permanente per le gestioni del Fondo di previdenza generale e del Fondo della Medicina convenzionata e accreditata. La rivalutazione riguarda, inoltre, le prestazioni assistenziali erogate a favore degli iscritti al Fondo di previdenza generale, gestione “Quota A”, dei pensionati e dei loro familiari superstiti.
E’ previsto un adeguamento pieno al costo della vita anche per gli importi minimi dell’indennità di maternità delle professioniste (che saranno di oltre 1.100 euro superiori a quelli fissati dalla legge). Sono compresi, i contributi per l’ospitalità in casa di riposo, per l’assistenza domiciliare e le prestazioni per calamità naturali.
Attenzione però a non fare confusione di quanto previsto favorevolmente dall’Enpam con il sistema, invece, di rivalutazione delle pensioni dell’Inps, che anche quest’anno ha previsto una minore rivalutazione rispetto ai criteri in vigore in passato. Per le pensioni erogate dall’Inps la rivalutazione applicata in misura piena è stata soltanto per gli assegni che non superano i 2.272 euro lordi mensili.
Ciò vuol dire che hanno ottenuto il massimo dell’aumento soltanto coloro che rientravano in un prospetto di massimo quattro volte superiore al trattamento minimo garantito dall’Inps: 567,94 euro. La percentuale viene, poi, ridotta man mano che l’importo della pensione cresce: 4,6% fra 4 e 5 volte il minimo (2.840 euro); 2,9% tra 5 e 6 volte il minimo (3.308 euro); 2,5% tra 6 e 8 volte il minimo (4.544 euro); 2% fino a 10 volte il minimo (5.679 euro); 1,2% oltre 10 volte il minimo (5.680 euro). Le operazioni di rinnovo potrebbero aver anche generato conguagli a credito o a debito a vario titolo relativi all’importo di pensione erogato nell’anno 2023.
Per quanto riguarda le prestazioni fiscalmente imponibili, inoltre, a decorrere dal rateo di pensione di gennaio, oltre all’IRPEF mensile, sono state trattenute le addizionali regionali e comunali relative al 2023 sulla base dell’ammontare complessivo delle sole prestazioni pensionistiche erogate dall’Inps.
Ricordiamo, infine, che tutti i provvedimenti assunti dai vari Governi succedutisi e dal Parlamento determinano, per i pensionati Inps, soprattutto riduzioni strutturali permanenti e crescenti. In considerazione che anche le possibili indicizzazioni future saranno applicate ad importi di pensione ovviamente più ridotti. L’effetto, infatti, si cumula nel tempo a maggior ragione quando i tagli sono ripetuti. Condizione questa che la stessa Consulta, inascoltata, ha ripetutamente ammonito dal non continuare a fare, per non privare le pensioni, d’ importo più elevato, della tutela dai danni inferti dai fenomeni inflattivi.


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