Fare salute in tutte le politiche

di Manuela Perrone (da Il Sole-24 Ore Sanità n. 34/2012)

Lo slogan è di moda, non c'è dubbio: «health in all policies», la salute in tutte le politiche. Ma la realtà è ben lontana dal proclama lanciato dai ministri della Salute europei riuniti a Roma nel 2007. Basta pensare alla vicenda dell'Ilva per capire quanto poco ancora siano diffuse le politiche favorevoli alla salute in ambiti diversi, dal lavoro all'ambiente. E quanto scarse siano, di riflesso, le valutazioni dell'impatto sulla salute di ogni strategia attuata altrove.

L'«intersettorialità» non è una passeggiata. Ma è indispensabile per raggiungere gli obiettivi di Health 2020, il programma dell'ufficio europeo dell'Organizzazione mondiale della Sanità: rafforzare il benessere delle popolazioni del Vecchio Continente, ridurre le disuguaglianze di salute e potenziare i sistemi pubblici, garantendone la sostenibilità e l'orientamento alla persona.

Per aiutare a costruire nuovi modelli di governance che facilino quei ponti necessari a "fare" salute in tutte le politiche, l'Osservatorio europeo sui sistemi sanitari ha appena pubblicato un corposo volume, «Intersectoral governance for health in all policies - Structures, actions and experience», a cura di David V. McQueen, Matthias Wismar, Vivian Lin, Catherine M. Jones e Maggie Davis. Oltre 200 pagine immaginate come una guida pratica con tantissimi case study, pescati dall'Australia al Nord America, utili a comprendere i meccanismi per l'intersettorialità e gli ostacoli da superare.

Si parte da un esempio semplice, eppure lampante: in poco più di due anni in Ucraina le tasse sui prodotti del tabacco sono aumentate più di sette volte. Le entrate sono passate dai 2,5 miliardi di grivnie del 2007 ai 13 miliardi del 2011. Al tempo stesso le vendite di sigarette sono diminuite di più del 20 per cento. Un doppio successo - per le casse dello Stato e per la salute dei cittadini - reso possibile dall'impegno e dalla leadership del ministro delle Finanze.

Analizzando le maggiori esperienze internazionali, i curatori dello studio hanno identificato 11 possibili strutture di governance intersettoriale. Si parte dalle commissioni di gabinetto, che organizzano i ministri secondo ambiti di competenza (e che risultano più efficaci di meccanismi più informali per facilitare l'impegno "incrociato"), con i segretariati di gabinetto a coordinare i processi decisionali collettivi. Esaminando queste strutture in Irlanda, Scozia, Galles, Nuova Zelanda e Australia, gli autori evidenziano come le commissioni con un esplicito mandato per la salute sono rare. Più spesso il ministro della Salute è uno dei componenti di una commissione in aree come il rinnovamento economico, l'inclusione sociale, la politica interna e i cambiamenti climatici. Ma il potenziale per funzionare c'è.

Anche i Parlamenti potrebbero fare la loro parte con la creazione di commissioni ad hoc: un esempio è offerto dal processo avviato nella Camera dei Comuni sulle disuguaglianze sanitarie.

A un livello più burocratico possono operare commissioni e unità interdipartimentali finalizzate a ri-orientare i ministri intorno a priorità condivise. Lo stesso fine può essere ottenuto con i mega-ministeri (come è avvenuto in Italia quando il dicastero della Salute venne assorbito con Lavoro e Politiche sociali nel mega-ministero del Welfare), ma - avverte il volume - questo modello richiede attenzione perché la riorganizzazione può far lievitare i costi senza essere efficace.

Il joint budgeting è già molto usato - in Australia, Canada, Inghilterra, Italia, Olanda e Svezia - soprattutto per iniziative legate a specifici segmenti di popolazione, come gli anziani o i malati cronici. Ma l'efficacia è ancora da dimostrare, soprattutto nei progetti a dimensione nazionale. Il finanziamento con delega a un organismo istituzionale indipendente può essere un'alternativa utile per centrare l'obiettivo della promozione della salute: è la strada imboccata con "VicHealth" nello Stato australiano del Victoria o con il Big Lottery Fund nel Regno Unito.

Le ultime tre strutture di governance elencate - coinvolgimento della società civile, degli stakeholder con le conferenze della salute e dell'industria attraverso le partnership (come nel programma svedese Vision Zero contro gli incidenti stradali) - implicano la partecipazione di attori non istituzionali. Con luci e ombre da approfondire.
Una cosa è certa: le sperimentazioni fioriscono. Non resta che vedere quali sono le migliori. E perseverare per portare la salute nell'agenda di tutti.