Dibattiti-e-Idee

«Epatite C, un mutuo per le cure»

di Sara Todaro

Un contratto quinquennale con le aziende farmaceutiche per pagare "a rate" le cure che guariscono i malati di epatite C, definendo una spesa nel tempo che sia compensata dai benefìci di riduzione dei costi indiretti (ospedalizzazioni, specialistica, cirrosi, epatocarcinoma, trapianti), fino al raggiungimento del break-even. È la proposta di Nello Martini, direttore scientifico di Accademia nazionale di Medicina, promotrice con la Fondazione Sicurezza in sanità, guidata da Vasco Giannotti e con l'associazione Nova (Network Orizzonti Valori Azioni) presieduta da Federico Gelli, di un seminario di studio a porte chiuse a Roma su quello che sembra essere diventato uno dei temi cruciali del dibattito politico-sanitario degli ultimi mesi: la sostenibilità economica dei nuovi e costosissimi trattamenti per l'epatite cronica C.

Un problema che rischia di diventare esplosivo considerato l'elevato numero di pazienti candidabili al trattamento. «Un caso modello - spiega Giannotti - e una sorta di laboratorio per definire una governance di sistema e vincere la sfida». Un caso unico, visto che il sofosbuvir della Gilead e gli altri prodotti prossimi ad affacciarsi sul mercato sono in grado di cambiare la storia naturale della malattia dalla cronicità alla guarigione, promettendo di eradicare il virus nell'80-90% dei casi trattati.
Una novità ad altissimo impatto sociale che rischia di diventare esplosiva se non ben gestita e le incertezze sono tante, a partire dai dati epidemiologici. Secondo la letteratura, in Italia, i pazienti con epatite cronica C sono circa 1,5-1,8 milioni, i diagnosticati circa 380mila, quelli trattati circa 15mila, per una spesa pro capite annua di circa 13mila euro a testa tra farmaceutica, ricoveri e specialistica.

Con la terapia triplice oggi disponibile (Telaplevir, Peginterferone e Ribavirina) il trattamento per 12 settimane costa 24mila euro a paziente: nel 2013 gli inibitori della proteasi sono costati 50 milioni al Ssn. Il Sofosbuvir - registrato a dicembre 2013 dalla Fda statunitense e a inizio anno dall'Ema - fa sballare tutti i conti. Negli Usa il farmaco per 12 settimane di trattamento (una compressa al giorno per 3 mesi) costa 84mila dollari (61mila euro) e le compagnie di assicurazione cominciano a non concederlo più. In Germania è in vendita a 48mila euro; nel Regno Unito a 42mila. «Si tratta di prezzi liberamente fissati dall'azienda - avverte Martini - destinati a essere successivamente ridefiniti in Germania dal Gba (con un taglio anche molto consistente) e in Uk con sconti sulla base della valutazione del Nice: non costituiscono dunque il riferimento reale nei Paesi in cui il prezzo è negoziato». La speranza è che nel frattempo l'avvento di altre molecole ai nastri di partenza faccia diminuire il costo grazie al market share: ma ci vorranno comunque 4 o 5 anni prima che ciò accada. Nel frattempo c'è da pensare a conti e scelte non facili.

Le prime a occuparsene sono state le Regioni: «Il costo per paziente per 12 settimane di trattamento è di 48mila euro - spiega Giovanna Scroccaro, responsabile del settore farmaceutico della Regione Veneto - ipotizzando un numero di pazienti compreso tra 15mila e 25mila la spesa nazionale per il solo Sofosbuvir oscillerebbe tra i 792 milioni e i 1.320 milioni. Il triplo, cioè, di quanto si spende per i fattori della coagulazione, 2 volte e mezzo il costo degli anticorpi monoclonali: una cifra mai pagata prima per nessun farmaco». Una cifra che potrebbe peraltro aumentare in assenza di criteri di prioritizzazione che modulino l'accesso dei pazienti al trattamento. La richiesta di definire le categorie di pazienti che necessitano di accedere con urgenza al trattamento, selezionandole in base ai risultati migliori ottenuti negli studi clinici, così da garantire il farmaco ai pazienti che ne possano trarre il maggior beneficio e l'attivazione urgente delle trattative di negoziazione del prezzo del prodotto in casa Aifa aprono la lista delle proposte avanzate dalle Regioni con una lettera inviata al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, dal presidente dei governatori, Vasco Errani.

A proporre un «fondo per l'innovazione» è Federico Spandonaro (Università Roma Tor Vergata e Presidente Crea Sanità). Che avverte: «In attesa di una ripresa economica nazionale o della riduzione del prezzo delle innovazioni, dovremmo affrontare la congiuntura collegando e amalgamando politiche tanto macro quanto micro economiche, con una forte attenzione non solo alle politiche assistenziali, ma anche a quelle industriali».