Sentenze

Tribunale di Novara: l'Asl fornisca i farmaci cannabinoidi quando non esistono valide alternative

di Manuela Perrone

In mancanza di altre valide alternative terapeutiche, la Asl deve fornire al paziente in ambito ospedaliero, dunque a carico del Ssn, i farmaci cannabinoidi importati dall'estero. Così ha deciso il giudice del lavoro di Novara, con un'ordinanza emessa su ricorso dell'avvocato Antonio Codega e resa nota oggi dall'associazione Luca Coscioni.

La vicenda
Dopo un intervento di chirurgia settoplastica, nel 2007 una donna accusa dolori fortissimi alla base del naso e intorno all'occhio. La sofferenza si aggrava con il passare del tempo, finché due anni dopo l'operazione un Centro di terapia del dolore milanese diagnostica una malattia rara, la sindrome di Charlin, caratterizzata da dolori violenti e profondi in sede oculo-nasale. Nel 2010, data l'inefficacia delle terapie, alcuni specialisti indicano la possibilità di trattare la paziente con il nabilone, un cannabinoide. Effettivamente la cura intrapresa - a base di un altro cannabinoide (il Cannabis Flos 19% Thc) con lo stesso principio attivo - funziona. Il farmaco, però, è importato dall'estero e a carico della paziente, costretta a sostenere una spesa mensile di circa 1.500 euro per l'acquisto del medicinale pur essendo disoccupata e a carico dei genitori pensionati. Di qui il ricorso al giudice, con una "carta" fondamentale: la stessa Asl, nel certificare che la donna è affetta da sindrome di Charlin, ha ammesso che il nabilone appariva «l'unica possibilità terapeutica per ripristinare una qualità di vita accettabile», raccomandando un periodo di 2-3 mesi di trattamento, e nel novembre 2011 le ha consegnato due confezioni al prezzo di 565,55 euro.

L'ordinanza
Il giudice di Novara ha parzialmente accolto il ricorso della paziente, nel senso che le ha riconosciuto il diritto a ottenere gratuitamente dalla Asl il nabilone e non il farmaco che lei ha effettivamente assunto, perché il parere favorevole del responsabile della terapia del dolore dell'azienda sanitaria riguardava il primo medicinale e non il secondo. L'articolo 5 del Dm 11 febbraio 1997, che disciplina i farmaci venduti all'estero ma non autorizzati in Italia e spediti a richiesta del medico curante, precisa infatti che la spesa relativa non deve essere a carico del paziente soltanto se il medicinale è richiesto da un ospedale.
Il giudice sottolinea che non si può più dubitare «sull'utilità dei farmaci e delle prescrizioni galeniche a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche» ed evidenzia come molte Regioni, ma non il Piemonte, abbiano «provveduto a regolamentare le modalità di erogazione». Ricorda poi che il diritto alla salute, combinato con il principio di uguaglianza, «impone a carico dello Stato il dovere di garantire a tutti i cittadini pieno e libero accesso alle cure, indipendentemente dalle possibilità economiche di ciascuno». Un diritto che impone uno specifico onere di protezione, da parte dello Stato, anche quando la salute di un individuo «sia pregiudicata o anche solo messa in pericolo da libere iniziative del medesimo».
Ma la validità terapeutica del prodotto richiesto non può essere affermata dalla sola ricorrente, altrimenti si finirebbe per rendere ammissibile la fornitura di prodotti farmaceutici in assenza di ogni riscontro scientifico sulle loro possibilità di cura. Per questo va ordinato alla Asl di fornire urgentemente il medicinale raccomandato dai medici della struttura e non l'altro, per un periodo di sperimentazione di tre mesi e salva possibilità di prosecuzione in caso di esiti positivi.

L'associazione Coscioni: «Troppi vuoti legislativi»
«Il Tribunale di Novara - dice Codega - ha riaffermato che la Costituzione, tutelando la salute come diritto fondamentale dell'individuo, enuncia anche il diritto all'assistenza sanitaria e farmaceutica. Si tratta di una norma direttamente vincolante per tutti e non solo per il legislatore, quale limite nell'emissione di successive leggi ordinarie. Nei casi in cui sussista pericolo di vita, di aggravamento della patologia o di non adeguata guarigione, gli organi sanitari pubblici sono tenuti, senza possibilità di valutazione discrezionale, a provvedere al riguardo; la stessa regola vale anche pper le cosiddette cure palliative, tra cui di certo rientrano i farmaci cannabinoidi».
Per l'associazione, la via giudiziaria può servire a superare i vuoti legislativi «che complicano l'accesso alle cure ai malati che risiedono nelle molte Regioni prive di regolamentazione in materia di uso terapeutico della cannabis». Regioni in cui «l'unica alternativa per i malati sembrerebbe quella di dover affrontare notevoli spese o, peggio, scegliere sconsigliabili scorciatoie illegali, commettendo dei reati, che in generale restano tali anche se per scopo di cura».

LEGGI IL SERVIZIO SULLA CANNABIS TERAPEUTICA PUBBLICATO SUL SOLE 24 ORE SANITA' N. 3/2014