In parlamento

Decreto Irpef, Comitato per la legislazione: uno «spezzatino» vecchia maniera

di Roberto Turno, da Il Sole-24 Ore

Un decreto spezzatino. Che viola o comunque aggira lo Statuto del contribuente, che introduce proroghe a scoppio ritardato anche di due anni, che modifica e novella ma non lo dice, che delegifica quando non dovrebbe e che interviene quando proprio non dovrebbe sui decreti legislativi.

Cambiano i Governi, le maggioranza si dissolvono e si ricompongono, deputati e senatori fanno (a volte) il turn over da una legislatura all'altra, ma il risultato è essere sempre lo stesso. Decreti monstre, caravanserragli sullo stile, più o meno, dei ben noti milleproroghe. Risultato, tutto (o quasi) sarebbe da rifare, anche per il decreto Irpef. Non sul piano dei contenuti, per carità, visto che da quel punto di vista la battaglia è tutta politica. Ma sul piano della tecnica e della trasparenza legislativa, ecco, sì: il Dl 66 meriterebbe un'aggiustatina, anzi qualcosa di più.

A fare le pulci ai 60 articoli del decreto inviati alla Camera dal Senato (ai 51 iniziali se ne sono aggiunti 11 a palazzo Madama, che a sua volta ne ha cancellato due) è stato il Comitato per la legislazione di Montecitorio.

Organismo sconosciuto ai più, per la verità poco o punto ascoltato dalle altre commissioni da quando è nato. Ma tant'è. Esiste, e cerca di dire la sua. Per poi, a quanto pare, non essere ascoltato neppure dai nuovi Governi che di tanto in tanto arrivano. Ecco così che adesso tocca a Matteo Renzi subire le reprimende del Comitato per la qualità delle leggi. Il premier se ne farà sicuramente una ragione, magari reclamando la consueta responsabilità delle burocrazie ministeriali, quelle che scrivono le leggi, sebbene richieste dai Governi e dalla politica.

Sia quel che sia, il relatore nel parere sul Dl 66, l'ex ministro della Salute Renato Balduzzi, ha criticato con fermezza l'assenza delle relazioni sull'analisi tecnico-normativa e sull'impatto della regolamentazione, e perfino della «clausola di stile» per giustificarne, per via dell'urgenza del decreto, l'assenza: «Rilevo con dispiacere – ha detto Balduzzi – che tale tendenza prosegue anche col mutare dei diversi Governi, anche di quelli che si richiamano all'innovazione».

Una stoccata tutta politica. Ma non solo. Perché è la più banale (e obbligatoria) conoscenza della grammatica legislativa che troppo spesso sembra mancare nei mille vagoncini del decreto. Proprio quello che il Quirinale condanna da anni. Le deleghe infilate di soppiatto al Senato, per dire, sono all'articolo 1 della legge di conversione: vanno soppresse, si chiede. Che avvenga è ben difficile, visto che si va di gran carriera verso il voto finale con fiducia. E che dire della proroga all'1 gennaio 2016 sul codice dei contratti pubblici? Via, un colpo di spugna. E perché poi occuparsi delle province di Monza, della Brianza, di Fermo e del Bat, nascondendolo sotto un titolo sui pagamenti alle imprese? Lo stesso Statuto del contribuente, vecchia storia, è stato aggirato con norme, tra misure con effetti retroattivi, modifiche non testuali a discipline tributarie, norme tributarie con un «titolo muto». Un pasticcio legislativo. Ma la scadenza è vicina e il Dl 66 deve passare. Presto, subito. Senza modifiche.