In parlamento

E ora la riforma della Pa parte in salita

di Davide Colombo (da Il Sole-24Ore)

Questa settimana parte l'iter di approvazione del ddl delega di riorganizzazione della Pa, la "seconda gamba" della riforma Madia. La corsia preferenziale è già stata assicurata in Commissione affari costituzionali, visto che s'è deciso di dare la priorità a questo Ddl lasciando in parcheggio il ddl di riforme della legge elettorale, il famoso Italicum. Martedì si riunirà l'ufficio di presidenza della commissione che dovrà stabilire il calendario dei lavori con il consueto ciclo di audizioni. Sempre per martedì è prevista una nuova riunione della Commissione. «L'obiettivo - ha affermato il relatore Giorgio Pagliari (Pd) confermando quanto auspicato dalla stessa Marianna Madia - è quello di concludere l'esame entro fine anno».

Il Ddl è perlomeno ambizioso quanto lo fu, al suo debutto, il disegno di legge delega presentato nel 2008 dall'allora ministro Renato Brunetta in materia di «ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, l'efficienza e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni». Oggi come allora il percorso di approvazione della delega non sarà facilitato dal rinnovo del contratto del pubblico impiego. Anzi il contesto si presenta ancor più critico, visto che il "sistema Pa" arriva a questo nuovo appuntamento riformatore dopo 4 anni di blocco dei contratti (che ha prodotto minor spesa per 11,5 miliardi in termini cumulati tra il 2010 e il 2014) e quasi 6 di parziale blocco del turn over (che ha ridotto di circa 300mila unità il numero di dipendenti).

La leva salariale non si è mai rivelata lo strumento più efficace per favorire l'innovazione nelle amministrazioni o premiare il merito e la produttività. Almeno a partire dalla seconda privatizzazione del pubblico impiego, cioè dai contratti siglati per il quadriennio normativo 1998-2001. Un'analisi Aran sul decennio 2000-2009 conferma che gli aumenti retributivi realizzati sono stati solo in minima parte collegati a incrementi delle voci stipendiali legate alle verifiche dei risultati conseguiti dalle amministrazioni. E anche la Corte dei conti ha sempre lamentato l'uso distorto delle risorse destinate ai premi di produttività; fondi sempre usati per elevare i trattamenti fissi e continuativi. Però un conto è sprecare una risorsa nelle disponibilità del Governo di turno e un conto è non averla affatto.

Il ddl delega di Marianna Madia si muoverà in questo difficile contesto. Parte con 16 articoli e la previsione di 10 deleghe da esercitare nei 12 mesi successivi all'approvazione della legge. «È una buona base di partenza - ha osservato nei giorni scorsi il relatore - è scritto in modo apprezzabile e affronta tematiche significative tra cui la riforma complessiva del pubblico impiego».
Gli obiettivi sono noti: innovare la Pa riorganizzando l'amministrazione dello Stato (centrale e periferica), riformare la dirigenza, ridefinire il perimetro pubblico e, tra l'altro, riordinare la disciplina del lavoro alle dipendenze della Pa. Proprio su quest'ultima delega il confronto con i sindacati sarà particolarmente acuto, vista la preannunciata mobilitazione per il contratto.
Il Governo punta soprattutto ad accentrare i concorsi e riprogrammare i meccanismi di assunzione, puntando sul calcolo dei fabbisogni del personale delle amministrazioni con il superamento delle vecchie dotazioni organiche. Altro nodo cruciale sarà la rilevazione delle competenze. In un'intervista recente il sottosegretario Angelo Rughetti ha ricordato che il peso della retribuzione di risultato scenderà dal 30% del totale al 10%. Mentre il 30% della busta paga sarà in futuro legata all'incarico momentaneamente svolto e quel pezzo di stipendio sarà perso in caso di mancata conferma. Insomma, la partenza in salita è assicurata, vedremo dove si arriverà.