Lavoro e professione

Donne, tumori e il diritto (negato) a diventare madri

di Manuela Perrone

Sono giovani, sono donne e quando si ammalano di cancro devono fare i conti con un rischio troppo spesso sottaciuto: quello di perdere la fertilità. In 5mila ogni anno affrontano il dramma della malattia quando ancora potrebbero diventare madri. La prima ingiustizia è che molte si sottopongono a chemioterapie potenzialmente tossiche per la funzione ovarica senza sapere che preservare la fertilità è possibile. Ma c'è una seconda ingiustizia, che suona come una beffa: i farmaci anti-sterilità sono a totale carico delle pazienti, perché non rientrano tra quelli prescrivibili per questo scopo anche se la letteratura scientifica sul punto è ormai vasta.

L'appello di quattro associazioni.
A denunciare le risposte ancora insufficienti del Servizio sanitario nazionale sono state oggi quattro associazioni: Favo, Andos, Aimac e Salute donna. Unite nel lanciare un appello al ministero della Salute e alla Conferenza Stato-Regioni affinché si intervenga urgentemente sul piano delle regole. «Il costo dei farmaci è a completo carico delle pazienti, i percorsi clinico assistenziali non sono stati ancora definiti, manca del tutto un osservatorio nazionale che si occupi del problema», afferma l'avvocato Elisabetta Iannelli, segretario Favo.

Interessate 1.500 donne
. La platea delle donne coinvolte è ampia. «Dai dati della letteratura si evince che tra le 3.000 giovani donne italiane a rischio di infertilità a causa della malattia, circa la metà è interessata a preservare la propria fertilità», sottolineano Lucia Del Mastro, del consiglio direttivo dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), e Fedro Peccatori, direttore dell'Unità di Fertilità e procreazione dell'Ieo di Milano. Sono 1.500 donne che potrebbero accedere alla raccolta di ovociti prima dei trattamenti chemioterapici e alla loro crioconservazione, insieme all'assunzione di farmaci (analoghi LHRH) che proteggono le ovaie durante i trattamenti. Tecniche, sottolineano i due esperti, con un tasso di successo relativamente elevato: possibilità di gravidanza dopo la guarigione tra il 30 e il 50% a seconda dell'età della donna, dei trattamenti chemioterapici ricevuti e del numero di ovociti crioconservati.

Il nodo dei farmaci
. Il costo complessivo per il trattamento farmacologico con LHRH delle donne che ne hanno effettivamente bisogno – calcolano le associazioni - può essere stimato in 77mila euro l'anno per il Ssn. Se poi tutte le pazienti candidate alla preservazione della fertilità si sottoponessero alla crioconservazione degli ovociti, la spesa totale complessiva ammonterebbe a circa 1,5 milioni di euro. Perché sia possibile, bisogna modificare due note Aifa (la 74 e la 51), riconoscendo l'indicazione prevenzione dell'infertilità nelle pazienti oncologiche" alle gonadotropine necessarie alla stimolazione e raccolta di ovociti e agli analoghi LHRH.

Cambiare i percorsi per cambiare la cultura
. Ma non è questione di soli farmaci. L'informazione gioca un ruolo fondamentale. «Ancora troppe donne non vengono informate, è determinante la formazione degli operatori e la sorveglianza del fenomeno», osserva Giulia Scaravelli, responsabile del Registro nazionale procreazione medicalmente assistita. Occorre poi implementare percorsi dedicati per la prevenzione dell'infertilità in tutte le Regioni, come suggerisce Cristofaro De Stefano, direttore dell'Unità di fisiopatologia della riproduzione al San Giuseppe Moscati di Avellino. La soluzione è sempre la stessa: fare rete. Tra reparti, tra medici, tra aree del Paese. Cambiare metodo per evitare che la tutela della fertilità rimanga nella lunga lista nera dei diritti negati.