Lavoro e professione

Digitale e tutela della salute: nuovi diritti tra chance e rischi

di Ottavio Davini (direttore Radiologia 2, Città della Salute e della scienza, coordinatore clinico informatizzazione)

Sono molte le difficoltà (e le perplessità) degli operatori sanitari sul tema della Privacy “digitale” e il suo impatto sui processi di cura. È certamente solo uno dei possibili punti di osservazione del problema, ma al contempo quello più esposto ai rischi e alle difficoltà del quotidiano, che ho avuto modo di rappresentare in un recente workshop organizzato dalla Città della Salute e della Scienza di Torino in collaborazione con InterSystems.

Senza entrare qui nel merito tecnico e normativo, mi paiono doverose alcune considerazioni di carattere generale.

La sicurezza: è noto che non esiste sistema (non solo informatico) che sia sicuro al 100 per cento. Ma esiste la certezza che, al di là di una ragionevole soglia, l’incremento della sicurezza diviene progressivamente più modesto, sino a essere irrilevante, mentre i costi relativi crescono in modo esponenziale.

Al contempo, lungi da fare del banale “benaltrismo”, la nostra riservatezza è ormai fortemente compromessa: in un recente articolo su Nature, che documenta come la privacy genetica sia una chimera, si citano ricerche compiute in diversi ambiti che dimostrano come, solo dai “like” su Facebook, sia possibile risalire con ragionevole certezza a etnia, orientamento sessuale e politico.

E come dice, efficacemente, Franco Bernabè nel suo Libertà vigilata, simulando l’applicazione della posta elettronica alle logiche del servizio postale tradizionale, «Il servizio funzionerebbe così: l’utente consegna la lettera al postino, il quale apre la corrispondenza e indicizza le parole chiave. Successivamente consegna al destinatario la posta insieme a pubblicità rilevanti rispetto al contenuto della lettera».

La complessità normativa e organizzativa, che in Italia non ha paragoni con i Paesi sviluppati: più di 75mila leggi (nessuno sa esattamente quante siano), oltre 10mila Pubbliche amministrazioni, oltre 11mila Centri elaborazione dati, un numero di applicativi incalcolabile (gli ordini di grandezza nei Paesi con cui siamo soliti confrontarci sono da una a due volte inferiori). Qualunque intervento normativo sul tema della privacy va armonizzato (se si riesce) con le altre leggi esistenti e comporta che ognuno degli enti e dei Ced si adeguino, con costi che evidentemente crescono in modo spaventoso.

E questo a fronte di un’esigenza irrinunciabile, che è quella di recuperare il grave gap sulla digitalizzazione che affligge l’Italia e che Luca Attias, direttore dei sistemi informativi della Corte dei conti, correla con l’elevata corruzione del nostro Paese (occupiamo la quartultima posizione in entrambe le relative classifiche europee), sottolineando come «La politica deve quindi comprendere che oggi come oggi la civiltà di un Paese si misura anche dal grado di digitalizzazione raggiunto e che nell’attuazione del digitale (e non nella produzione normativa) si trovano le leve per produrre un vero cambiamento». In ultimo, il gap digitale in ambito sanitario è particolarmente pesante: per ormai decenni gli operatori hanno dovuto sobbarcarsi la faticosa e ingarbugliata informatizzazione dei sistemi, molto più orientati alla gestione amministrativa che non a quella clinica.

Ora che il traguardo sembrava avvicinarsi, l’applicazione di stringenti regole sulla privacy digitale sembra un ulteriore ostacolo, che rischia di scoraggiare definitivamente gli operatori.

Sono fiducioso che il dibattito in corso porterà tutti a trovare un punto di incontro più prossimo all’esigenza di tutelare prioritariamente il diritto alla salute (individuale e collettiva, come specificato dall’articolo 32 della Costituzione), rendendo gli adempimenti relativi al tema della privacy efficaci ma meno oppressivi, demotivanti (per gli operatori) e costosi (per il sistema sanitario, che non mi risulta abbia ricevuto un finanziamento specifico), evitando il rischio che Luca Bolognini, presidente dell’Istituto italiano Privacy, evoca: «Anche la privacy e la protezione dei dati andrebbero ricalibrate, saggiamente, per agevolare l’evoluzione del Sistema sanitario italiano. Diversamente, come si suole dire, rischieremmo di far riuscire perfettamente l’operazione (giuridica) e al contempo di far morire - si spera solo in via di metafora - il paziente».

Vorrei sottolineare come la speranza “metaforica” di Bolognini rischia di divenire realtà se, per inseguire norme sempre più dettagliate e stringenti, si dovessero spostare risorse dalla cura dei pazienti alla tutela esasperata della riservatezza dei dati sanitari.

Ottavio Davini

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