Lavoro e professione

Robotica e Intelligenza artificiale, le competenze del clinico e dell'ingegnere fanno sintesi

di Vincenzo Di Lazzaro *

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24 Esclusivo per Sanità24

Una giornata organizzata dall’Università Campus Bio-Medico di Roma per parlare della robotica e delle sue implicazioni per la medicina e per la formazione dei giovani mi ha consentito di condividere alcune riflessioni con un pubblico ampio costituito non solo di accademici ma anche di giovani studenti. Si tratta di menti brillanti premiate nell’ambito del “Digital Sustainability Bootcamp”.
La mia riflessione parte dalla consapevolezza che la tecnologia è sempre stata un motore fondamentale per il progresso della conoscenza, e oggi lo è particolarmente per la medicina. La svolta in questo ambito è costituita fondamentalmente da una sinergia fra professionisti: quella che consente a ingegneri e medici di incontrarsi sul terreno della ricerca e delle sue applicazioni alla clinica.
Infatti, non esiste più una distanza tra l’ingegnere che progetta nuove tecnologie ed il medico che va ad implementare nella pratica clinica le nuove scoperte. Oggi i medici si confrontano sempre più con i professionisti della bioingegneria applicata.
Le due principali aree tematiche per questi incontri multidisciplinari sono rappresentate dalla Robotica e dall’Inteligenza Artificiale.
Da un lato questi team intedisciplinari sviluppano soluzioni utili al clinico, come ad esempio protesi di arto innovative e dall’altro la biologia dell’uomo e le conoscenze provenienti dalle neuroscienze suggeriscono soluzioni per sviluppare tecnologia sempre piu’ performante e “social”, cioe’ in grado di interagire con l’uomo e con il paziente in particolare aiutandolo sia fisicamente che cognitivamente.
Parlando, ad esempio, della crescita esponenziale che le applicazione dell’intelligenza artificiale stanno avendo in medicina, per ogni medico è fondamentale l’utilizzo di sistemi decisionali di supporto per la diagnostica e l’individualizzazione della terapia sulle caratteristiche specifiche del singolo paziente. Pensiamo alla radiologia, dove la possibilità di operare confronti con banche dati con una grande quantità di esami consente di ottenere indicazioni estremamente precise confrontando i singoli casi con questa enorme mole di dati. È una tecnica alla quale oggi si fa ricorso anche per la scelta del miglior approccio terapeutico.
Andando alla Robotica, non possiamo non ricordare le straordinarie applicazioni della chirurgia robotica, sempre più utilizzata in quasi tutti gli ambiti chirurgici, dalla neurochirurgia all’urologia e dalla chirurgia oculistica alla chirurgia toracica e addominale.
Inoltre, come non citare l’ambito della Protesica, dove tutta la serie di dispositivi innovativi che definiamo arti-robotici vengono indossati da (o addirittura impiantati in) persone che hanno subito amputazioni. Pensiamo alla cronaca recente, con le immagini del tris delle azzurre Sabatini, Caironi e Contrafatto che nei 100 metri femminili dei giochi paralimpici hanno conseguito straordinarie vittorie. Ebbene oggi appare normale vedere mani robotiche che sanno stringere oggetti, avambracci che utilizzano i segnali dei muscoli per implementare i movimenti delle mani. Mi riferisco in particolare alle protesi di nuova generazione che superano un limite del passato: la possibilità di controllare più movimenti, con una maggiore destrezza, e di garantire una certa sensibilità ai soggetti che le utilizzano. È stata, almeno in parte, abbattuta la comprensibile sensazione di estraneità della protesi grazie ad elettrodi in grado di inviare al cervello impulsi che si trasformano in vere e proprie percezioni.
A questo punto la mano cibernetica restituisce la sensazione della natura dell’oggetto, di cui viene riconosciuto, ad esempio, forma, peso e consistenza. Insomma, un arto vicario che viene percepito come qualcosa di più affine al proprio corpo grazie alle scoperte che hanno portato decifrare il codice che utilizzano i neuroni e le fibre nervose per trasmettere le sensazioni.
Un altro fronte di applicazione riguarda le difficoltà motorie da parte dei soggetti colpiti da ictus o con lesioni del midollo spinale Persone che non possono più mantenere la posizione eretta o che non possono camminare a causa della mancanza di controllo degli arti possono riacquistare una parziale autonomia grazie a esoscheletri robotici. Si tratta di tecnologie “indossabili” e controllabili che consentono una certa libertà motoria, che qui all'Università Campus Bio-Medico di Roma stiamo sperimentando soprattutto nei pazienti colpiti da ictus.
Anche la riabilitazione degli arti superiori può essere effettuata con il supporto della robotica: sistemi di supporto agli arti paretici aiutano il paziente a effettuare esercizi ripetuti per raggiungere un target prefissato. Queste macchine implementano strategie riabilitative che gli studi di neuroscienze delle ultime due decadi hanno dimostrato essere più efficaci. Ad esempio, il grado di assistenza è tarato in base al tipo di deficit, promuovendo il graduale recupero del controllo da parte del paziente. La costanza nell’effettuare gli esercizi garantisce un buon successo nel recupero funzionale, seguendo la logica del videogioco. Naturalmente l’apporto del fisiatra per il piano di cure e del fisioterapista nell’utilizzo dei sistemi robotici costituiscono parte integrante della riabilitazione. Nessuna di queste macchine può fare a meno dell’intervento umano esperto.
Un altro tema di impatto, in cui medicina e ingegneria si fondono, è quello aperto dall’elettroceutica, ossia la stimolazione non invasiva del cervello mediante campi elettrici e magnetici in grado di attivare i circuiti nervosi. Qui si inducono veri e propri fenomeni plastici nel cervello in grado di modularne il funzionamento, promuovendo connessioni tra aree celebrali distanti e disconnesse a causa di fenomeni neurodegenerativi o come conseguenza di un ictus. Queste cure sono molto efficaci anche in patologie psichiatriche in particolare nella depressione.
Un terreno di frontiera è rappresentato dallo sviluppo interfacce computer-cervello (brain-computer interface). Le potenzialità di questo approccio sono incredibili vi sono infatti già sperimentazioni nelle quali si è dimostrato che pazienti impossibilitati a parlare, ad esempio a causa di un ictus o perché affetti da sclerosi laterale amiotrofica, possono comunicare grazie ad elettrodi posizionati sulla superficie del cervello che decodificano il loro pensiero e lo traducono in parole che compaiono sullo schermo di un computer. Si tratta di protocolli di intelligenza artificiale in grado di veicolare brevi messaggi verbali, interfacciandosi con il sistema nervoso. I pazienti che fanno parte di questa sperimentazione sono loro stessi dei ricercatori che partecipano attivamente allo sviluppo di nuovi approcci terapeutici.
Presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico lavoriamo in particolare sugli arti robotici, grazie alla stretta collaborazione tra neurologi, neurofisiologi, fisiatri, ingegneri. Un team che dalla progettazione arriva all’impianto degli arti robotici in pazienti con amputazioni, fino alla riabilitazione. Uno dei nostri fiori all’occhiello è la progettazione e lo sviluppo di un robot per la riabilitazione che entra in un trolley e che quindi consente per la prima volta l’utilizzo di tecniche riabilitative robotiche a domicilio del paziente. Un altro dei settori di ricerca più avanzati è quello della stimolazione cerebrale per il trattamento delle patologie neuropsichiatriche.
Tutte le nostre sperimentazioni sono aperte a pazienti che su base volontaria chiedano di partecipare e che rispondano ai criteri di arruolamento definiti per ogni protocollo sperimentale.
Insieme ai fondi derivanti da bandi competitivi nazionali ed internazionali, diversi autorevoli soggetti ci affiancano nella ricerca, sostenendo i nostri sforzi dal punto di vista finanziario: ad esempio l’Inail ci aiuta nell’ambito della mano robotica, l’Ania per il progetto sugli esoscheletri. Dal punto di vista scientifico, invece, un partner prezioso è costituito dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
In questo fervido clima di commistione tra scienza e tecnologia, come Università Campus Bio-Medico di Roma che fin dalla sua fondazione ha fatto leva sulla simbiosi biomedico-ingegneristica, non potevamo non pensare alla formazione del medico del futuro prossimo, che necessita di un forte background ingegneristico, sia come semplice utente delle tecnologie più avanzate, che come ricercatore in ambito bio-ingegneristico. Pensiamo anche al bioingegnere del futuro con solide basi in ambito medico.
Dal prossimo anno accademico partirà un corso di Laurea in Medicina “Medtech” che accanto a tutte le conoscenze necessarie al medico offrirà allo studente una formazione, in lingua inglese, di scienze ingegneristiche di base e applicative. Alla fine del corso, avendo ottenuto 30 crediti formativi opzionali, il laureato in Medicina e Chirurgia potrà conseguire anche la Laurea Triennale in Ingegneria Biomedica. Analogamente sarà avviato un corso di laurea in Bioingegneria in lingua inglese con un’ampia offerta formativa di tipo medico.

* Preside della Facoltà Dipartimentale di Medicina e Chirurgia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma


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