Lavoro e professione

Medici specialisti: per la cattiva programmazione si sprecano oltre 2 miliardi

di Anaao Assomed

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24 Esclusivo per Sanità24

Il sistema formativo italiano ha superato una fase di grande difficoltà nella quale per anni l’assenza di programmazione ha causato un imbuto formativo che, solo grazie ai numerosi investimenti dell’ultimo biennio è riuscito a sanarsi.
Ora, però, rischiamo di creare un imbuto forse anche peggiore del precedente, e cioè quello post-formativo perché si continua a programmare senza coniugare l’esigenza di medici specialisti con le necessità dei territori. Ci ritroviamo così per il prossimo quinquennio a dover fronteggiare un paradosso economico-organizzativo non di poco conto.
Per comprenderlo basta leggere i numeri.
A fronte infatti di un aumento dei posti nella facoltà di medicina e chirurgia, che solo nell’ultimo biennio è aumentato del 21% - e che porterà (considerando un tasso di laurea del 92%) nel 2022 8.111 studenti a laurearsi, nel 2023 8684, nel 2024 9935, nel 2025 11449 e nel 2026 12468 studenti - i posti messi a bando per i prossimi anni nelle scuole di specializzazione dalla legge di bilancio 2022 sono 12.000.
A questi occorre aggiungere i posti per il corso di medicina generale che, stando alle ultime cifre e alle intenzioni del governo, dovrebbero confermarsi in 2000 per il triennio 2021-2024 e realisticamente almeno 1600 per i prossimi trienni, nell’ipotesi meno positiva.
Secondo stime attendibili, e considerando un 10% di tolleranza in positivo fisiologico di posti, nel 2026-2027, si avranno 19.800 posti in specialità che non troveranno medici disponibili a occuparli. Queste stime non tengono conto della percentuale di abbandono o di posti che tutt’oggi restano non coperti, stimata intorno al 5-10% e in continuo aumento.
Ancora una volta, quindi, siamo di fronte alla mancanza di programmazione, questa volta con dispendio di denaro, che non risolverà peraltro il problema di alcune carenze, in considerazione dell’esiguo numero di borse in branche in carenza ormai endemica come medicina d’urgenza e che non vengono comunque sfruttate per lo scarso appeal e per le condizioni di lavoro non soddisfacenti.
Gli investimenti che oggi vengono destinati a posti che non verranno probabilmente mai occupati potrebbero essere invece utilizzati per migliorare le condizioni di lavoro ed economiche.
Sono infatti 2.056 i milioni che potrebbero essere reinvestiti per rendere la professione più appagante almeno dal punto di vista economico, soprattutto in quelle branche maggiormente soggette a usura o a rischi. Decisamente troppi considerando le esigenze di un sistema sanitario che necessita sì di medici specialisti e di medicina generale, ma necessita soprattutto di una profonda revisione paradigmatica della definizione di presa in carico del paziente. Una delle esigenze che potrebbe essere immediatamente risolta potrebbe essere quella del rischio biologico per tutti i medici che hanno prestato servizio durante il Covid-19 e che ogni giorno continuano a rischiare la propria vita senza le tutele elementari.
La pandemia ci ha segnati profondamente e soprattutto ha lanciato un chiaro segnale: se non si investe in modo organizzato, condiviso e programmatico nel futuro del sistema di cure, difficilmente i nostri ospedali e i nostri territori potranno reggere il post-Covid-19 che si prospetta molto più duro per taluni aspetti della fase acuta pandemica.
Recupero liste di attesa, recupero prestazioni di fatto mai erogate durante il periodo della pandemia e la riconversione di interi reparti di cure ordinarie in reparti Covid, interventi chirurgici e diagnostici rimandati, ospedali ricondizionati.
Ora ci aspetta una fase di ricostruzione lunga e delicata nella quale al centro del nostro sistema occorre porre il paziente e finalmente il medico.
Solo così potremo avere un sistema sanitario più forte, coeso e tornare a erogare cure di qualità.


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