Lavoro e professione

Rivedere la tassazione: primo passo di riforma delle pensioni

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

Nell’attesa dell’arrivo di altri fondi dall’Unione Europea, si è aperto in Italia un dibattito nel merito di un’ulteriore riforma previdenziale per allontanare lo scalone prevedibile dal 2023 con il reingresso della legge Fornero che porrebbe i 67 anni quale limite per il pensionamento di vecchia a fronte dell’attuale quota 102 con 64 anni d’età, ma anche per ridurre il cuneo fiscale, prodotto dagli alti contributi previdenziali, con l’obiettivo primario di incidere soprattutto sui redditi da lavoro e d’impresa. Restano, come spesso accade, fuori dall’azione delle riforme i redditi da pensione che per la loro caratteristica di immobilità dei loro importi continuano ad essere falcidiati dall’inflazione.
Mentre in Italia, è bene ricordarlo, è in vigore il sistema contributivo, basato su quanti contributi il lavoratore versa nella sua carriera, la Francia e la Spagna hanno mantenuto il retributivo, in cui l’assegno è legato, invece, al livello delle retribuzioni percepite. In Germania si usa un sistema a punti: l’assegno si calcola sulla base dei cosiddetti punti-pensione, acquisiti pagando i contributi e lavorando. Un caso peculiare quello delle pensioni in Inghilterra, simili per tutti i cittadini (ma circa uno su due dispone anche di una pensione privata).
Per quanto attiene alla tassazione del risparmio previdenziale è possibile individuare tre fasi: la fase dell’accantonamento, in cui vengono versati i contributi; la fase dell’accumulazione, in cui i contributi versati fruttano un rendimento; la fase della prestazione, in cui si ha la percezione della rendita o pensione. Mentre 17 stati su 24 adotta il modello che applica l’esenzione sugli importi versati e accumulati, per tassare soltanto la prestazione, l’Italia, nel caso del sistema previdenziale pubblico, prevede un’esenzione fiscale per i contributi versati, una tassazione per il loro eventuale rendimento, ma soprattutto la tassazione della rendita o della pensione.
I pensionati italiani sono tra i più tassati in Europa: 30 per cento in più degli altri Paesi. Su un assegno da 1.500 euro da noi si pagano 600 euro di tasse, in Germania 60. Nella generalità dei Paesi europei i redditi da pensione vengono colpiti con aliquote progressive e viene riconosciuta una detrazione d’imposta in cifra fissa o variabile.
Si tenga però presente che in alcuni Paesi della Ue le pensioni non sono di fatto assoggettate ad alcun prelievo fiscale (Bulgaria, Lituania, Slovacchia). In altri, invece, molto elevata è la personal ‘allowance’, cioè la quota di reddito non imponibile. In Germania e Finlandia, ad esempio, non sono tassati i redditi pensionistici inferiori a 16.500 euro, mentre in Austria quelli inferiori a 15.000 euro. A Parigi, Berlino, Londra e Madrid sono esentati dalle imposte tutti quelli che ricevono meno di 9 mila euro l’anno, in Italia il tetto è posto, invece a soli 8.174 euro.
I Paesi europei adottano diversi sistemi per l’adeguamento delle pensioni. In alcuni le pensioni sono agganciate ai salari monetari (Danimarca, Slovenia e Svezia). In altri, come la Germania, si tiene conto sia della dinamica salariale sia del rapporto pensionati/attivi. In alcuni vige anche un sistema misto di indicizzazione salari/prezzi (come in Bulgaria, Finlandia, Polonia, Romania, Ungheria e altri). In altri, ancora, alle pensioni viene garantito il pieno mantenimento del potere d’acquisto, essendo rivalutate in base alle variazioni dell’indice dei prezzi al consumo (accade in Austria, Belgio, Francia, Regno Unito e Spagna). Infine in alcuni Paesi, ed è il caso dell’Italia, vige un sistema di indicizzazione parziale, che garantisce una rivalutazione maggiore alle pensioni più basse (sistema in vigore anche in Grecia e Portogallo).
L’Italia, assieme alla Danimarca, è uno dei Paesi europei che fa registrare la più alta tassazione sulle pensioni. A sostegno di ciò, basti rilevare che un reddito pensionistico di 20mila euro all’anno viene colpito con un’aliquota media del 20,5 per cento in Italia, del 19 per cento in Spagna, dell’8,7 per cento nel Regno Unito, dell’8,4 per cento in Olanda, dell’8,3 per cento in Germania e del 7,3 per cento in Francia. Un divario altrettanto ampio si riscontra anche con riferimento ai redditi pensionistici di importo più elevato.
Tra i ritocchi possibili e in fase di discussione prende voce la possibilità di salvaguardare al meglio il potere d’acquisto delle pensioni dall’aggressione dell’inflazione oggi minimamente attenuata dalla perequazione automatica basata sugli indici Istat.
Ma come intervenire ? Accanto alla riduzione del carico fiscale sul lavoro sarebbe necessario rivedere, quindi, l’attuale tassazione delle pensioni che sono, ricordiamo, invece integralmente equiparate al reddito dei lavoratori in attività. Magari prevedendo, per i pensionati, anche se solo in parte, l’abbandono del mito del sistema della progressività.
Una forma di sostegno ai pensionati potrebbe essere quella di introdurre quanto, ad esempio, già in vigore in Germania, che prevede il trattamento fiscale solamente sul 50 % del suo importo, almeno, nel nostro caso, per la quota di pensione sino a 50 mila euro. Si manterrebbe comunque, sul restante 50 % del trattamento, il criterio della progressività delle aliquote così come previsto nel nostro ordinamento ordinario


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