Lavoro e professione

Previdenza: come si calcola la pensione Enpam, ecco il coefficiente che garantisce la sostenibilità

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

Con la riforma previdenziale del 1995 è stato introdotto, nel sistema pensionistico, il criterio di calcolo contributivo per gli importi pensionistici. Il sistema precedente, retributivo, era stato, però, mantenuto, con delle specifiche garanzie, per la stragrande maggioranza dei lavoratori. In pratica si disponeva l’assoggettamento al nuovo sistema per gli entrati nel mondo del lavoro a condurre dal 1996. La riforma Fornero, anche sulla base di necessità di bilancio dello Stato, fu, invece, categorica stabilendo per tutti l’estensione del sistema di calcolo contributivo, basato sugli effettivi contributi versati dal lavoratore negli anni di attività, al posto del molto più favorevole retributivo che faceva, invece, perno sul valore degli stipendi al momento del pensionamento. Anche gli Enti previdenziali privatizzati furono sottoposti alla richiesta di modificare i loro criteri di calcolo puntando al calcolo contributivo. Ma mentre la maggior parte, anche se a malincuore, furono costretti ad allinearsi alla volontà del Governo, l’Enpam, l’ente di previdenza dei medici, forte di una grade platea di sanitari attivi, 350 mila, e di pensionati circa 100 mila, e soprattutto di un bilancio patrimoniale attivo di quasi 13 miliardi, cercò di mantenere i criteri già adottati in passato pur accettando variazioni relative all’età del pensionamento e del numero di anni di contribuzione per ottenerlo.
L’Ente, in pratica dovette realizzare una riforma delle pensioni al fine di garantire la sua sostenibilità ad oltre 50 anni come prescritto dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214. La riforma ottenne, poi, la prescritta approvazione dei Ministeri del Lavoro e dell’Economia in data 9 novembre 2012 ed è entrata in vigore il 1° gennaio 2013. In tale occasione, oltre al conseguimento del prescritto equilibrio finanziario della Fondazione, attraverso norme specificamente finalizzate a tale obiettivo, furono inserite alcune disposizioni di adeguamento formale, scaturenti da esigenze operative. Tuttavia non venne modificato il sistema di calcolo previsto in passato.
Infatti la pensione del libero professionista viene calcolata, ancora oggi, con il sistema chiamato contributivo indiretto a valorizzazione immediata, in parte simile al metodo retributivo. Partendo da una retribuzione di riferimento, ogni anno di versamento aggiunge una percentuale alla pensione.
L’Enpam prende in esame i redditi annuali del libero professionista, li rivaluta nel tempo e ne ricava il c.d. “reddito medio rivalutato”, come se l’iscritto avesse tutti gli anni avuto un identico reddito.
La pensione che ne deriva è data dalla moltiplicazione tra gli anni di versamento ed il così detto coefficiente di rendimento (che oggi è 1,25%). Ad esempio: 40 anni di versamento al coefficiente del 1,25 daranno 50. La pensione annua sarà il 50% del reddito medio dell’iscritto. Il valore ottenuto identifica il tasso di sostituzione, cioè in che percentuale la pensione sostituisce il reddito. Un reddito medio di 50.000 euro darà quindi 25.000 euro annui di pensione, un reddito di 100.000 una pensione annua di 50.000 euro, e così via.
Prima delle modifiche regolamentari del 2012 il coefficiente di rendimento era più alto (1,75) e la contribuzione più bassa, per cui, a parità di reddito, la pensione risultava più elevata. Una serie di fattori, in primis l’allungamento della aspettativa di vita e poi la “legge Fornero”, avevano evidenziato la non sostenibilità di tale formula e reso necessari i cambiamenti apportati.
Quindi, per più tempo si è stati iscritti, più alto è stato il reddito, più alto è il tasso di rendimento, maggiore sarà la pensione. Questo sistema dà la possibilità all’iscritto di sapere, nel momento in cui versa il contributo, quanto questo sarà valorizzato all’atto del pensionamento.
Fino al 2011 il coefficiente di rendimento, come detto prima, era dell’1,75%. Questo significava che ogni 1000 euro versati davano diritto ad una rendita pensionistica di 140 euro l’anno. In pratica in poco più di 7 anni l’Enpam restituiva quanto era stato versato. È evidente che uno dei principi su cui si basano tutti i sistemi pensionistici, la sostenibilità, non era rispettato. Infatti, l’aspettativa di vita a 65 anni è molto aumentata negli ultimi decenni : oggi è di 18,3 anni per un uomo e di 21,7 per una donna. Non c’è nessun sistema finanziario che possa sostenere questo rendimento. Dovrebbe “regalare” 12 anni di pensione ad un uomo e 15 ad una donna. Per questo Enpam nel 2012 ha modificato il rendimento (dall’1,75 all’1,25%) e per garantire una pensione obbligatoria adeguata (altro principio su cui si basano i sistemi pensionistici) ha aumentato l’aliquota di versamento gradatamente negli anni fino ad arrivare al 19,5% del reddito netto dal 2021. Questa riforma è stata più dura del necessario perché, proprio quell’anno, la legge finanziaria Monti-Fornero obbligò tutte le casse a garantire la sostenibilità per 50 anni, pagando le pensioni esclusivamente con i contributi versati dagli iscritti “attivi” e con il solo rendimento del patrimonio, senza poter utilizzare il patrimonio s messo da parte. È come se un risparmiatore decidesse di comprare casa con i risparmi accantonati, ma in quel momento la legge lo obbligasse a utilizzare solo il reddito di quell’anno e gli interessi maturati dal patrimonio, e non il patrimonio stesso. L’Enpam ha comunque rispettato gli impegni che aveva preso con gli iscritti, e non ha toccato i rendimenti dei versamenti effettuati prima della riforma con il principio del pro-rata.
È utile ricordare che i medici dipendenti versano all’Inps il 33% del loro reddito e i lavoratori autonomi che non hanno una Cassa di previdenza versano alla gestione separata dell’Inps il 24% circa del loro reddito. Inoltre, l’Inps calcola la pensione al momento del pensionamento, moltiplicando il “montante” (quello che complessivamente si è versato in tutta la vita lavorativa) per un coefficiente che si modifica, diminuendo, al crescere della speranza di vita.


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