Lavoro e professione

Manovra/ Medici, dirigenti e infermieri, ostetriche e professioni sanitarie bocciano il Ddl e annunciano 48 ore di sciopero a gennaio

di Radiocor Plus

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24 Esclusivo per Sanità24

«Senza confronto e senza novità sostanziali sulle richieste alla base delle nostre mobilitazioni, nel mese di gennaio proseguiremo con 48 ore di sciopero, le cui date verranno comunicate non appena sentite la basi associative». Lo annunciano i leader dei sindacati medici e delle professioni sanitarie che già hanno organizzato lo sciopero del 5 dicembre: Pierino Di Silverio, segretario nazionale Anaao Assomed, Guido Quici, presidente Cimo-Fesmed e Antonio De Palma, Presidente Nursing Up. Un annuncio che arriva dopo il passo indietro del Governo sull'ipotesi, balenata nella giornata di domenica 17 dicembre, di introdurre la possibilità di pensionamento posticipato da 70 a 72 anni per dirigenti sanitari e professori universitari - retromarcia avvenuta proprio in seguito alla protesta immediata dei sindacati dei professionisti del Ssn - e nel giorno, il 18 dicembre, in cui incrociano le braccia per 24 ore in Italia gli operatori di tutti i servizi "funzionali" della sanità ospedaliera e territoriale indispensabili per le diagnosi e le cure non urgenti e per la sicurezza e le forniture alimentari, in seguito allo sciopero proclamato da dirigenti medici, veterinari e sanitari del Ssn delle sigle Aaroi-Emac, Fassid, Federazione veterinari e medici e Cisl Medici.
«La manovra economica per il 2024 - proseguono Di Silverio, Quici e De Palma - è l’ennesimo schiaffo al Servizio sanitario pubblico e ai suoi professionisti perché mortifica i principi della salvaguardia della sanità pubblica e del diritto alla tutela della salute che continuano a non essere tra le priorità di questo Paese. Al netto dei rinnovi contrattuali in scadenza, ben al di sotto del tasso inflattivo - argomentano - il vero finanziamento del Ssn è di soli 800 milioni che saranno impegnati in interventi non strutturali, ma di propaganda per far credere ai cittadini l’impegno del Governo a risolvere l’annosa questione dei tempi di attesa. Noi professionisti siamo i primi a subire gli effetti distorsivi di un sistema non più in grado di garantire l’accesso alle cure ed è questo il motivo per cui siamo al fianco dei cittadini con il dovere civico di proseguire le nostre azioni di protesta portandole, se necessario, anche in sede di Parlamento Europeo». Secondo i sindacalisti, «i numeri della fuga di medici, dirigenti sanitari, infermieri e ostetriche in favore degli ospedali di altri paesi europei sono sempre più allarmanti e la mancanza di una seria politica di investimenti nel sistema sanitario e nel suo capitale umano non lascia alcuna speranza per il futuro. Un’emorragia che avvicina il Ssn al baratro verso cui la politica lo sta spingendo da anni, con la differenza che ora non c’è più tempo per salvarlo. Siamo a un punto di non ritorno». «Le nostre richieste – proseguono Di Silverio, Quici e De Palma - rappresentano non solo legittime rivendicazioni delle categorie che rappresentiamo, ma vere e proprie parole d’ordine che mirano a migliorare il sistema di cure nel suo complesso tenendo conto anche delle implicazioni che possono avere sui cittadini. Pensiamo alla situazione dei luoghi di lavoro in cui operiamo venuta tristemente alla ribalta dopo l’incendio all’ospedale di Tivoli che ha fatto emergere prepotentemente lo stato di abbandono di molti ospedali. Quello della manutenzione delle infrastrutture è un ulteriore tassello di un puzzle che nessuno si prende cura di comporre. E dire che l’Italia ha a disposizione i fondi del Pnrr per opere di ammodernamento, ma non sanno bene come utilizzarli. Siamo sempre più determinati – concludono - a uscire dal vicolo cieco in cui la politica ci costringe da almeno 20 anni e siamo disposti a tutte le azioni sindacali per affermare la nostra dignità di professionisti e riprenderci la considerazione che meritiamo. Sappiamo di avere al nostro fianco milioni di italiani che alla sanità pubblica si rivolgono ogni giorno e che alla sanità pubblica non possono rinunciare».


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