Lavoro e professione

Contratto del comparto, rebus aumenti effettivi e supertredicesima

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Alcune settimane fa su questo sito si erano approfondite le possibili tematiche del rinnovo del Ccnl del Comparto per il triennio 2022-2024, che è ormai a 9 mesi dalla scadenza naturale. Sembrava che fosse imminente l’adozione dell’Atto di indirizzo del Comitato di settore Regioni/Sanità, ragione per cui il tavolo della trattativa avrebbe potuto davvero insediarsi a breve. Infatti, il Presidente del Comitato di settore Marco Alparone ha annunciato che il 7 marzo è stato rilasciato il parere favorevole, sia in commissione tecnica che politica, al testo della direttiva. A stretto seguito, l’Aran ha convocato le OO.SS. per il prossimo 20 marzo per l’apertura ufficiale del negoziato. Rispetto alle questioni che avevo segnalato nell’articolo del 20 febbraio scorso, esistono un paio di considerazioni che potrebbero condizionare i lavori negoziali e che se fossero state oggetto di approfondimento da parte dell’Atto di indirizzo, sarebbe risultato senz’altro un elemento positivo e preventivo.
Il primo aspetto concerne il rischio che corre la categoria più numerosa del Comparto di veder frustati gli incrementi contrattuali che saranno definiti dal rinnovo. Si tratta degli effetti di una norma contenuta nella legge 213/2023, la legge di Bilancio per il 2024. L’art. 1, comma 15, è una norma di natura eccezionale, sebbene sia la prosecuzione di un intervento attuato inizialmente dal Governo Draghi nel 2022 e prorogato lo scorso anno. Si tratta del cosiddetto taglio del cuneo fiscale o esonero contributivo per i lavoratori dipendenti pubblici e privati. La circostanza che questa disposizione si applichi anche ai dipendenti pubblici è evidente per via dell’indicazione “rapporti di lavoro dipendente“ con la sola espressa esclusione dei “rapporti di lavoro domestico”. È, come detto, una misura provvisoria limitata ai redditi medio-bassi che vale solo per il 2024 e che impiega la quota più consistente della manovra. Tale misura è destinata a finanziare l’esonero che era già previsto negli ultimi due anni e in scadenza a fine 2023. Il taglio del cuneo contributivo è pari al 6% se la retribuzione imponibile non eccede l’importo mensile di 2.692 € e al 7% se la stessa retribuzione non eccede l’importo mensile di 1.923 €. La manovra esclude, inoltre, dal taglio dei contributi il rateo della tredicesima mensilità. Sulla disposizione legislativa è intervenuta la Circolare n. 11 del 16.1.2024 dell’INPS che ha chiarito, tra l’altro, che non si incorre nelle ire della UE perché non sono aiuti di Stato visto che si interviene solo nei confronti dell’aliquota a carico del lavoratore che, per la Sanità pubblica, è del 8,85%. L’intervento dovrebbe garantire ai lavoratori con reddito fino a 35.000 € un risparmio di 2.100 € e, rispetto al beneficio già presente del 2023 del 3%, circa 1.000 € in più, a cui si vanno ad aggiungere altri 260 € di taglio IRPEF previsto dalla riforma fiscale con il passaggio da quattro a tre aliquote. Nessun vantaggio per i lavoratori con reddito superiore a 35.000 € annui. L’esonero parziale dei contributi previdenziali è senz’altro una leva interessante per il potere d’acquisto dei salari: peccato che nelle aziende sanitarie della misura ne beneficeranno relativamente in pochi. La soglia di € 35.000 annui è ampiamente superata da tutti i dirigenti ma anche da molto personale inquadrato nella Area quarta. Proviamo a fare alcune simulazioni.
Innanzitutto credo che dal beneficio siano esclusi di default tutti i lavoratori ex Ds e coloro cui è affidato un incarico di funzione di complessità media o elevata. Per gli altri, numericamente più rilevanti, si deve trovare la soglia retributiva da attenzionare. Un infermiere neoassunto ha un trattamento economico mensile di 2.122 € cui si devono aggiungere gli emolumenti stabiliti dall’art. 106 – pari a 303 €, se lavora in un reparto particolare, con 4 notti mensili, 1 festivo - per un ipotetico totale di 2.425: residua una margine di poco meno di 270 € di salario accessorio per non incorrere nella tagliola sancita dalla legge. Se valutiamo la situazione di un ex D3 gli importi sono i seguenti: la base è di 2.328 € e, se si aggiunge lo stesso importo sopra considerato di 303 €, si raggiunge esattamente il limite prescritto dal comma 15 con la conseguenza che qualsiasi ulteriore elemento di salario accessorio sarebbe “in perdita“. Nemmeno da simulare la situazione di un infermiere del Pronto soccorso che è quasi certo che superi l’importo. In buona sostanza, non saranno sicuramente favoriti i lavoratori più anziani o coloro che operano con molto salario accessorio mentre i nuovi assunti e quelli all’inizio della carriera potrebbero trovare un incentivo che – si ripete – è comunque attivo fino alla fine di quest’anno. Mi sembra veramente risibile per dare maggiore attrattività alla figura dell’infermiere e non credo che solo per questo i giovani laureati si metteranno in fila per fare domanda di concorso.
Queste considerazioni sono tuttavia valide allo stato odierno ma quando arriverà il rinnovo avrà, come è ovvio, decorrenza dal 2022 per cui lo scenario cambierà notevolmente e in peggio, a meno che il contratto non dica che tutti gli aumenti siano addossati al 31 dicembre 2024.
L’applicazione del futuro contratto potrebbe paradossalmente portare, per il personale coinvolto, all’azzeramento dell’esonero contributivo per gli importi lordi mensili di 2.692 euro; non solo, ma si rischia anche un plausibile recupero dell’eccedenza già fruita. Questo comporterebbe la sterilizzazione totale o parziale dei benefici contrattuali, situazione evidentemente inaccettabile per una categoria che ha numerosi - e pervicacemente irrisolti - problemi.
La soluzione potrebbe essere quella che in sede legislativa, i limiti attuali previsti per l’esonero contributivo siano incrementati della stessa percentuale degli incrementi previsti per i contratti. Sarebbe anche opportuno correggere l’anomalia che in detti limiti non è prevista una progressività decrescente che, di fatto, comporta la perdita di circa 100 euro netti al solo superamento di anche 1 euro del limite di 2.692 euro. Tale situazione costituisce in concreto, in particolare per gli infermieri dato il loro numero e le criticità note, un disincentivo ad effettuare ulteriore lavoro (straordinario, turni notturni e festivi, prestazioni aggiuntive) in quanto, a fronte di un beneficio economico di alcune centinaia di €, potrebbe realizzarsi la perdita dell’esonero contributivo, con la conseguenza paradossale che essere disponibili a lavorare di più o in certi reparti causerebbe una riduzione di stipendio il cui unico beneficiario è lo Stato, o l’INPS.
La seconda questione si riferisce alla cosiddetta supertredicesima che deve essere erogata – come anticipazione e non a fondo perduto – nel 2024 da parte delle aziende sanitarie che non l’hanno pagata a dicembre 2023, ai sensi del comma 28, sempre dell’art. 1 della legge 213/2023. Si tratta dell’anticipazione già percepita (la vecchia indennità di vacanza contrattuale) nella misura percentuale, rispetto agli stipendi tabellari, dello 0,3% dal 1° aprile 2022 e dello 0,5% a decorrere dal 1° luglio 2022 che ora viene incrementata 6,7 volte il suo valore. Sembra che nel S.s.n. sia stata pagata con la busta paga di dicembre soltanto nelle Regioni Lombardia e Lazio, per cui i lavoratori di queste regioni nel 2024 non percepiscono nulla. Oltre a questa partita contabile, il rinnovo del contratto dovrà necessariamente tenere conto di un’altra anticipazione, sempre che così debba essere considerata. La legge n. 197/2022, legge di Bilancio 2023, all’art. 1, comma 330, prevedeva “l’erogazione, nel solo anno 2023, di un emolumento accessorio una tantum, da corrispondere per tredici mensilità, da determinarsi nella misura dell’1,5 per cento dello stipendio con effetti ai soli fini del trattamento di quiescenza”. Molto si è discusso sulla natura del beneficio e, a titolo personale, ho sempre ritenuto che non fosse una previsione extracontrattuale, nonostante la ambiguità del termine “straordinaria”, ma fosse in realtà una liquidazione forfettaria degli incrementi contrattuali relativi all’anno 2023; va in tal senso ricordato che la decorrenza del rinnovo è, in ogni caso, il triennio 2022/2024. Sulla questione incombe un aspetto di natura semantica che non è affatto un formalismo ma un nodo piuttosto sostanziale. Nelle norme sopra citate Il legislatore utilizza una volta la locuzione “stipendi tabellari” e in un’altra la parola “stipendi”. Orbene, le due espressioni non sono per nulla equivalenti e lo stesso CCNL vigente del Comparto sembra distinguere i due concetti, anche se la terminologia contenuta nelle Tabelle A, B e C è in qualche modo disallineata dalla declinazione di cui all’art. 19, comma 1.
Tirando in qualche modo le conclusioni, sarebbe importante che l’Atto di indirizzo fornisca indicazioni precise riguardo alle due tematiche rappresentate, cominciando a definire la decorrenza dei nuovi stipendi tabellari. In ordine a quest’ultimo aspetto, l’incremento contrattuale più importante dovrà credibilmente tenere conto delle modalità con le quali è stata erogata la super tredicesima ed evitare che i lavoratori delle aziende laziali e lombarde abbiano, a regime, un trattamento diverso da coloro per i quali il beneficio è stato mensilizzato. Anche per la una tantum sarà importante capire se ha davvero chiuso la partita degli arretrati 2023, poichè dalle determinazioni di merito discenderà la quantificazione reale delle risorse “fresche” da impiegare per il rinnovo. Questo perché, se rispetto ai 2,4 mld di € previsti per la Sanità – comprese le convenzioni – si parla di un ipotetico 1,5 mld destinato al Comparto, una rilevante percentuale potrebbe non essere più disponibile: le conseguenze concrete sulle buste paga e, ovviamente, sulle aspettative dei lavoratori, saranno molto diverse e, direi, sorprendenti.


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