Lavoro e professione

Previdenza/ Donne svantaggiate quando vanno in pensione

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

Le differenze di genere sul mercato del lavoro si riflettono anche sulle pensioni, che per le donne sono più basse. Aumenta, infatti il divario tra gli importi delle pensioni degli uomini e quelle delle donne. Le pensionate italiane percepiscono infatti un assegno medio mensile di 1.242 euro, 472 euro in meno rispetto ai 1.714 euro incassati mediamente dagli uomini. Nonostante siano numericamente superiori (8,3 milioni contro 7,8 milioni di uomini), alle pensionate sono spettati appena 141 miliardi a fronte dei 321 miliardi erogati complessivamente nel 2022, mentre gli uomini hanno percepito 180 miliardi circa. Non si tratta di condizioni relative alle pensioni anticipate poiché nel 2022, solo il 20% di loro ha beneficiato di pensioni anticipate, quelle in media più alte, rispetto al 50% degli uomini.
L’età media per il collocamento a riposo è cresciuta per tutti. Per gli uomini è passata da 62 anni nel 2012 a 64,2 nel 2022, per le donne è aumentata più lentamente, ma è arrivata a superare di cinque mesi quella dei coetanei: da 62,3 anni nel 2012 a 64,7 nel 2022. La ragione? La discontinuità delle carriere femminili, che comporta ritardi nel raggiungimento dei requisiti contributivi per la pensione anticipata.
L’Opzione donna ha consentito a 174.500 donne di uscire prima dal mercato del lavoro. Ma per le lavoratrici, che hanno aderito a questa modalità, il prezzo è stato la massiccia decurtazione dell’importo percepito. L’assegno medio, calcolato interamente con il sistema contributivo, è del 40% più basso rispetto alla media di tutte le pensioni anticipate (pari a 1.946,92 euro lordi, contro 1.171,19). Se si considerano i redditi medi derivanti dalle singole prestazioni, quelli riservati agli uomini superano mediamente quelli delle donne con picchi del 50% circa nelle pensioni di vecchiaia e invalidità. Inoltre, a partire dal 2020, l’età media di pensionamento femminile ha superato quella maschile e, seppure in riduzione, persiste il divario di anzianità contributiva fra i due generi. I dipendenti pubblici maschi fuori servizio per raggiunti limiti di età incassano 2.423,91 euro, le dipendenti di 1.831,97 (sempre lordi e al mese, in media).
Pesano il ricorso al lavoro part time e l’utilizzo dei congedi parentali, che continuano ad essere prerogative femminili. Nel 2022, il 47,7% delle donne aveva un impiego part time, a fronte del 17,4% degli uomini, mentre le richieste di congedo parentale arrivano per l’80% da madri e solo nel 3% dei casi pervengono da entrambi i genitori. Alla penalizzazione diretta di un salario più basso, quindi, si aggiunge quella indiretta di minori contributi versati e di un importo inferiore di trattamento pensionistico.
Anche prima che si realizzassero appieno gli impatti sociali ed economici della pandemia, il rapporto 2020 sul divario di genere del World economic forum ( Wef ) aveva mostrato quanto lavoro ci fosse ancora da fare. Il rapporto suggeriva che ci sarebbero voluti 99,5 anni per raggiungere la parità di genere, e da allora la ricerca ha dimostrato che le ricadute della pandemia hanno colpito ancora di più le donne, esacerbando le disuguaglianze, in tutto il mondo, sia economiche sia di genere.
Se la donna non raggiunge al più presto una parità, soprattutto economica con l’uomo, le economie mondiali non saranno in grado di affrontare crisi inaspettate e drammatiche come quella causata dal Covid-19, e il dramma della sofferenza economica si esacerberà anche nelle pensioni. Un recente rapporto della Commissione europea rivela che le pensioni maschili sono circa il 40% più alte di quelle femminili e che ci sono forti differenze tra i paesi.
Ci sono, per esempio, punte del 45-46 per cento in Olanda e Germania e soglie al di sotto del 15 per cento in vari stati dell’Est europeo.
Un uomo con un titolo accademico guadagna in media 48mila euro lordi all’anno, mentre una donna solo 36mila, con un differenza del 33,3 per cento.
E il divario retributivo incide sul reddito femminile lungo tutto l’arco della vita.
Il divario scende un poco se si prendono in considerazione anche le pensioni pagate da Casse ed Enti diversi. Il reddito mensile lordo di un pensionato assomma a 1931.86 euro, quello di un pensionata a 1416.24, il 36,41% in meno. Ma anche il mondo femminile medico mostra differenze sostanziali sia nell’ambito del reddito che nell’ambito pensionistico. Per il Fondo dei Medici di medicina generale, dell’Enpam, la contribuzione maschile doppia quella delle donne con ancora uno scarto, anche se più modesto, rispetto al reddito medio per quanto si riferisce all’assistenza primaria, mentre il divario appare maggiore in ambito pediatrico e nella continuità assistenziale. Per quanto attiene il Fondo della specialistica ambulatoriale, dove le donne hanno raggiunto numericamente gli uomini, i raffronti sul reddito medio mantengono una differenza maggiore al centro ed al sud Italia rispetto al nord, in relazione ad un maggior numero di ore di attività attribuite ai medici maschi più anziani.


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