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Coronavirus: dall'emergenza all'urgenza, come preparare la sanità alla Fase 2

di Mario Stirpe*

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24 Esclusivo per Sanità24

La particolare condizione che stiamo vivendo in questo periodo, oltre agli evidenti aspetti riguardanti la prevenzione dei contagi da covid-19, ci pone davanti ad un altrettanto importante e forse meno considerato aspetto dell'emergenza sanitaria. Infatti, si sta assistendo ad una riduzione verticale degli interventi chirurgici e della diagnostica urgente che inevitabilmente porterà, nei mesi a venire, alla necessità di una riprogrammazione dell'attività sanitaria di routine.
Questa problematica va affrontata tenendo conto di due differenti fattori: da un lato i danni, spesso irreparabili, che si stanno accumulando; secondo, il carico di lavoro che dovrà essere affrontato nel tentativo di recuperare. In oculistica come altrove abbiamo bisogno di affrontare le urgenze, di semplificare le procedure e di un quadro della sicurezza, anche normativa, che risponda all'eccezionalità del momento.
Sappiamo di chirurgie nelle quali gli interventi di distacco di retina sono diminuiti di dieci volte. E non certo perché siano diminuiti i distacchi stessi. Non sappiamo quanti danni irreparabili si stiano accumulando per la ritrosia delle persone ad andare in ospedale e degli ospedali ad esser pronti a riceverle con sicurezza in un momento così delicato. Tuttavia, possiamo farci un'idea dell'ordine di grandezza.
Che lo stare a casa sia un danno e un beneficio simultaneamente per la salute è un paradosso indiscutibile e comprensibile al tempo stesso considerando quanto dissimili siano le precauzioni per scongiurare l'epidemia da quelle che contrastano l'insorgere delle cecità. Eppure, è un paradosso che la Fase 2 dovrà risolvere e lasciarsi alle spalle.
E l'urgenza sarà il principale criterio sul quale si dovrà basare la riapertura e l'organizzazione dei reparti non COVID-19. Tutta la programmazione operatoria dovrà essere impostata per ordine di gravità e difficoltà, concentrando nei centri specialistici i (tanti) casi difficili e rimandando ai centri più periferici gli interventi meno gravi e impellenti.
Per quanto fondata, però, l'urgenza non potrà essere l'unico orizzonte nel quale orientarsi. Dopo almeno due mesi di assoluto squilibrio nella destinazione e nell'impiego delle risorse, lo stesso personale sanitario che ha arginato l'epidemia sarà chiamato, esausto, a riprendere i propri posti originali e sobbarcarsi dell'arretrato accumulatosi.
La semplificazione delle pratiche sarà un altro criterio necessario e così, sarà, ovviamente, la sicurezza: sicurezza per i pazienti, sicurezza per gli operatori, sicurezza per le strutture sanitarie e gli stessi operatori di erogare cure all'interno di un quadro normativo e organizzativo che riconosca l'eccezionalità del momento.
Da tutto questo appare chiaro come l'ormai celebre Fase 2 non possa essere improvvisata né, tantomeno, sviluppata in maniera fortemente diseguale nelle varie parti d'Italia.
Né possiamo lasciare, come è successo e succede tuttora in quelle stesse parti d'Italia, al coraggio e all'abnegazione dei singoli di rispondere al bisogno di salute decidendo, sulla propria responsabilità, cosa sia urgente, quale rischio si possa correre e come intervenire per scongiurarne uno ancora maggiore.
Non devono più essere i singoli, nella loro generosa abnegazione, a correre rischi. Il momento di far accader qualcosa domani nel Paese è programmarlo oggi a tutti i livelli istituzionali. Possibilmente in una sola versione che valga per tutti.

*Presidente IRCCS Fondazione Bietti per lo Studio e la Ricerca in Oftalmologia


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