Medicina e ricerca

Trapianti/ Pazienti iperimmuni in attesa di rene, le chance terapeutiche per uscire dal guado

di Barbara Gobbi

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«In Italia siamo arrivati quasi a 4mila trapianti e il sistema continua a crescere. Ma abbiamo un fabbisogno che non è ancora completamente soddisfatto: più di 8mila pazienti attendono un organo». Il direttore del Centro nazionale trapianti Massimo Cardillo ha fotografato in vista della 26ª Giornata nazionale per la donazione e il trapianto di organi e tessuti del 16 aprile la situazione in Italia, sottolineando oltre ai successi l'obiettivo prioritario di abbattere le liste d'attesa per un organo agendo, da una parte, con l'"arma buona" di una efficace comunicazione ai cittadini e alle famiglie direttamente interessate dalla scelta della donazione e dall'altra con una formazione mirata, in particolare negli uffici anagrafe dei Comuni dove al momento del rinnovo della Carta d'identità elettronica è possibile esprimere il proprio orientamento.
Nel frattempo, "in lista" si continua a rimanere anche per anni, con il rischio di un aggravamento fino alle estreme conseguenze. I dati del Centro nazionale trapianti parlano di quasi 6mila pazienti in attesa di rene, di oltre mille che aspettano un fegato, di 700 in cerca di un cuore, di quasi 300 di un polmone e di 200 che dovrebbero ricevere un pancreas.
Delle oltre seimila persone che aspettano un rene - sono 2mila i trapianti realizzati ogni anno, di cui l'86% da donatore deceduto - circa una su dieci si stima che sia classificata come iperimmune, cioè altamente sensibilizzata per aver sviluppato anticorpi contro la maggior parte degli antigeni Hla dei donatori. Inevitabilmente, la problematica per questi pazienti diventa ancora più complessa, con una maggiore permanenza in lista che comporta un aumentato rischio di morbilità e mortalità, associato a un deterioramento della qualità di vita non solo per il diretto interessato ma anche per i suoi familiari.
Per il paziente iperimmune - o meglio per l'équipe che lo ha in cura - può diventare necessario valutare approcci quali il programma cross-over, la donazione samaritana e la desensibilizzazione. Se ne è parlato in occasione del simposio "Innovazione terapeutica a tutela delle persone in attesa di trapianto renale. Dalla ricerca svedese nuovi trattamenti per i pazienti con patologie immunologiche rare", organizzato a Roma presso la Residenza dell'Ambasciata di Svezia in Italia, con il contributo non condizionato di Hansa Biopharma. Un evento che ha ricevuto il Patrocinio dell'Ambasciata di Svezia, del Centro nazionale trapianti (Cnt), dell'Aned-Associazione nazionale emodializzati dialisi e trapianto e della Società italiana dei trapianti d'organo e di tessuti (Sito). «I pazienti con immunità rara affrontano difficoltà ancora maggiori degli altri - ha spiegato il presidente Aned Onlus Giuseppe Vanacore -. Per ridurre e in prospettiva evitare la dialisi, accanto alla prevenzione è necessario trovare soluzioni alternative e valide per estendere il trapianto per tutti i pazienti, superando anche la barriera dell’immunità. Il trapianto di rene "cross-over" e la donazione samaritana sono strade importanti da continuare a percorrere e migliorare, ma non applicabili a tutti e in tal senso la ricerca e sviluppo di trattamenti innovativi può contribuire a ridurre la permanenza in lista d’attesa dei pazienti”.
La desensibilizzazione, attualmente si ottiene - spiegano gli esperti - rimuovendo gli anticorpi del ricevente con tecniche di plasmaferesi o immunoaferesi; in seguito, è necessario utilizzare farmaci specifici che impediscono o che riducono la nuova formazione degli anticorpi. Una procedura possibile solo in alcuni casi su pazienti con specifici valori degli anticorpi. I farmaci impiegati nella desensibilizzazione sono spesso utilizzati off-label, inoltre il rischio di rigetto anticorpo-mediato, sia precoce che tardivo, rimane comunque elevato. I protocolli per la desensibilizzazione in uso richiedono una pianificazione rigorosa e hanno efficacia variabile, soprattutto nei pazienti altamente sensibilizzati; richiedono inoltre settimane o mesi di tempo, mentre gli organi da donatore deceduto devono essere trapiantati entro poche ore.
Il caso di Maria. È Lucrezia Furian, Chirurgia dei trapianti di rene e pancreas all'Aou di Padova dove l'intervento è stato portato a termine al momento con successo, a raccontare la vicenda di Maria (il nome è di fantasia, ndr), la prima paziente iperimmune in Italia a cui a novembre scorso è stato somministrato il farmaco imlifidase (Hansa Biopharma) - con indicazione per adulti altamente sensibilizzati in attesa di rene da donatore deceduto - che poi a dicembre 2022 ha ottenuto da Aifa il via alla rimborsabilità. L'approvazione di Ema era arrivata nell'agosto 2020.
"Imlifidase - spiegano intanto dalla Società biofarmaceutica specializzata in trattamenti per pazienti con condizioni immunologiche rare - è un enzima derivante dal batterio Streptococcus pyogenes che ha la capacità di legarsi e scindere specificamente tutti gli anticorpi della classe di immunoglobuline G (IgG). Una promettente nuova strategia di desensibilizzazione per i pazienti in attesa di trapianto di rene in presenza di anticorpi anti-Hla (Human Leukocyte Antigens) donatore-specifici (Dsa). I pazienti altamente sensibilizzati presentano alti livelli di questi anticorpi preformati che si possono legare all’organo del donatore e danneggiare il trapianto. Una volta inattivati con imlifidase, si crea una finestra di opportunità per effettuare un trapianto. Quando l’organismo ricomincia a sintetizzare nuove IgG, il paziente dovrà essere sottoposto a terapia immunosoppressiva post trapianto per ridurre il rischio di rigetto dell’organo".
«La scelta della paziente è stata un po' obbligata - racconta quindi Lucrezia Furian tracciando l'identikit della ricevente - perché è una donna giovane, in buone condizioni generali di salute ma in dialisi da 14 anni, tanto da non poter più convivere con l'insufficienza renale cronica. Quindi la decisione è caduta su di lei oltre ogni criterio di equità che ci si potesse porre: si trattava di un trapianto salva-vita non in competizione con nessun altro, senza contare che nel 2003 la paziente aveva già ricevuto trapianto da vivente in un altro Paese e aveva perso la funzione quattro anni dopo. La scelta del farmaco è nata dopo averne sentito parlare, sei anni fa, dal professor Robert Montgomery: da lì avevamo cominciato a "studiare" insieme all'immunologo e a colleghi di altri centri e abbiamo capito che c'erano delle potenzialità per questo farmaco». Potenzialità che, racconta ancora la chirurga dell'Aou di Padova, «si sono riunite in questa paziente ormai priva di altre chance mentre noi nel frattempo avevamo imparato abbastanza dagli studi clinici sul farmaco. Poi - prosegue Furian - l'arrivo imprevisto e con incredibile tempismo del donatore: il 30 di ottobre avevamo ricevuto nella nostra farmacia il farmaco fornito dalla ditta per uso compassionevole - perché allora non era ancora stato autorizzato in Italia - e subito il 1° novembre, per la prima volta dopo che la paziente era in lista nazionale "iperimmuni", c'è stata una offerta per lei. Una coincidenza inimmaginabile. Il trapianto è andato bene tecnicamente, la paziente ha avuto un rigetto - come ci aspettavamo - con un ritorno degli anticorpi che erano stati eliminati ma tempestivamente ha ricevuto ulteriori trattamenti contro la loro pericolosità». Maria ora è a casa, «con una funzione renale buona - spiega la dottoressa - anche se ovviamente dovrà prendere la terapia di mantenimento e proseguire con i controlli. La fase più critica è superata...».
Ci sono tanti altri casi limite come quello di Maria, o che potrebbero diventarlo nel tempo dopo lunghi periodi di dialisi. «Ora è in corso il pre screening per lo studio clinico multicentrico internazionale che abbiamo avviato - afferma Furian - e non appena sarà pronto anche il sistema di rimborso cercheremo di andare avanti anche su questa strada». Tra i criteri di scelta dei pazienti, l'essere in dialisi da almeno 8 anni secondo il protocollo nazionale iperimmuni e con un Pra del 90%, quindi con 9 donatori su dieci non "ricevibili" da questi pazienti. Tra questi ultimi verranno poi selezionati quanti clinicamente possono tollerare il regime immunosoppressivo e le eventuali complicanze che potrebbero insorgere.


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