Medicina e ricerca

Simspe: è emergenza salute in carcere tra droga, violenza e suicidi

S
24 Esclusivo per Sanità24

Droga, violenza e suicidi: è allarme per la salute in carcere, anche a causa dei cronici problemi del sovraffollamento, mancanza di personale, strutture fatiscenti, difficoltà per il personale medico e per gli psicologi. Per fronteggiarli arriva la proposta di un nuovo modello organizzativo da parte della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe), presentato in occasione del Congresso nazionale a Napoli.

Il 2022, secono i dati Simpse, è stato un anno record per il numero di suicidi in carcere (84), mentre nel 2023, a metà novembre, sono già 62 le persone che si sono tolte la vita. Per quanto riguarda la salute mentale, sono significative le percentuali di coloro che nelle carceri italiane assumono sedativi, ipnotici o stabilizzanti dell'umore, anche se il numero di diagnosi psichiatriche gravi resta limitato. A questo si aggiunge il tema della tossicodipendenza.

"Tra i detenuti riscontriamo un tasso di tossicodipendenza sempre più elevato - sottolinea Antonio Maria Pagano, presidente Simspe - Si stima che, considerando anche il sommerso, oltre il 60% dei detenuti faccia uso di stupefacenti, mentre prima del Covid non si arrivava al 50%. Purtroppo la frammentazione del sistema impedisce il reperimento di dati scientifici precisi, motivo per cui auspichiamo anche la creazione di un sistema di raccolta e analisi dei dati intersettoriali per velocizzare le risposte. Nel caso della tossicodipendenza, infatti - aggiunge Pagano - il fenomeno genera un effetto disinibente che aumenta la violenza, di cui pagano le conseguenze i detenuti stessi, il personale sanitario e la polizia penitenziaria".

Tra le principali difficoltà nella gestione del diritto alla salute nelle carceri italiane, dove ogni anno transitano oltre 100mila persone, vi è una situazione operativa di grande difficoltà e frammentazione sull'intero territorio nazionale. Per questo Simspe propone Unità Operative aziendali di Sanità Penitenziaria, dotate di autonomia organizzativa e gestionale, multifunzionali e multiprofessionali e accoglie con favore l'ipotesi di una cabina di regia interministeriale composta da tecnici indicati dal ministero della Salute e dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, come emerso dal recente incontro tra Andrea Ostellari, sottosegretario alla Giustizia e il ministro della Salute, Orazio Schillaci. Inoltre, Simspe propone un manuale di accreditamento per le strutture sanitarie penitenziarie sviluppato da uno dei gruppi di lavoro interprofessionale, presentato proprio in sede di Congresso, e l'istituzione dell'infermiere di Comunità per la Sanità Penitenziaria.

“In Italia, l’assistenza sanitaria penitenziaria non è univoca ed è parcellizzata tra tanti servizi, nonostante rappresenti uno degli ultimi presidi di sanità pubblica – evidenzia Pagano – Per molti detenuti che provengono da situazioni di svantaggio sociale il carcere è il primo contatto con il Ssn. Ma per una sanità penitenziaria efficiente servono Unità operative aziendali multifunzionali e multi-professionali cui siano assegnati tutti i professionisti che abbiano esclusivo compito di assistenza nei confronti delle persone private della libertà, dai minori agli adulti, dalle dipendenze alla salute mentale, dall’infettivologia alla medicina legale, dall’odontoiatria all’igiene pubblica, in modo che lavorino in sinergia tra loro e riescano a dare risposte univoche ai bisogni complessi delle persone e alle necessità dell’Autorità giudiziaria e dell’Amministrazione penitenziaria. Una cabina di regia interministeriale rappresenta un processo da noi auspicato da anni e ci candidiamo a collaborare sulla base della lunga esperienza maturata in tema di sanità penitenziaria”.

"I risultati ottenuti in ambito infettivologico sono stati realizzati grazie a importanti progetti come Rose - Rete donne Simspe, che ha affrontato le infezioni da Hiv e da epatite C nelle donne detenute – sottolinea Sergio Babudieri, direttore scientifico Simspe – L’Hcv è stato eliminato in diversi penitenziari, mentre gli screening per l’Hiv hanno consentito di avviare i relativi trattamenti. I dati sono significativi: se 20 anni fa in carcere la prevalenza di Hiv era del 20%, oggi è appena l’1% e sono quasi tutti in terapia, riducendo anche il rischio di contagio. Tuttavia, negli ultimi anni abbiamo riscontrato un aumento delle infezioni da Hiv in cui incorre la popolazione migrante una volta giunta sul territorio italiano a causa delle precarie condizioni igienico-sanitarie a cui è costretta. L’auspicio è quello di ottimizzare il momento di detenzione per favorire screening e trattamenti per persone che accedono con maggiore difficoltà ai servizi di cura e assistenza”. “La realtà penitenziaria rappresenta un setting particolare per intervenire con screening per Hiv, epatite C, tubercolosi su uno dei principali serbatoi di queste patologie", chiosa Roberto Parrella, vicepresidente Simit, Società italiana di malattie infettive e tropicali, direttore Uoc Malattie infettive ad indirizzo respiratorio Aorn ospedali dei Colli Monaldi-Cotugno-Cto Napoli.


© RIPRODUZIONE RISERVATA