Medicina e Ricerca

Fibrosi cistica, adolescenti insofferenti alle cure: a rischio l'aderenza alle terapie

L'aderenza alle terapie contro la fibrosi cistica vacilla tra gli adolescenti: pesano il carico quotidiano di due ore di cure, il sentirsi "diversi", l'interferenza con la quotidianità. A sondare il rapporto tra teenager e cure è stato Linfa, il primo laboratorio interattivo che pone al centro della ricerca l'adolescente (13 - 18 anni) con la fibrosi cistica e le loro famiglie con l'obiettivo di valutare i fattori psicologici, clinici e relazionali.

Lo studio, realizzato da DoxaPharma con il supporto di Abbott e presentato oggi a Milano, ha coinvolto 17 centri per la fibrosi cistica per un totale di 168 ragazzi (il 52% femmine e il 48% maschi) e 225 genitori (59% madri e 41% padri). Lo strumento usato è stato un questionario strutturato di autovalutazione insieme con un diario digitale - scrapbook - uno spazio libero in cui i ragazzi hanno potuto rappresentare la loro malattia con parole e immagini.

L'80% dei ragazzi intervistati così come il 73% dei loro genitori danno una
valutazione positiva dello stato di salute complessivo proprio e dei propri figli; raramente i malati riferiscono forti limitazioni fisiche dovute alla malattia anche sotto il profilo emotivo. Il vissuto restituito è di normalità nelle relazioni con gli altri, anche se circa una persona su tre ammette di sentirsi differente dai propri coetanei. Spesso la diversità è accentuata dalla necessità di assumere la terapia in pubblico, motivo di imbarazzo e vergogna per più della metà degli intervistati.

«L'aderenza alla terapia è messa in crisi, quando l'adolescente, già vulnerabile nelle relazioni con gli altri, si percepisce diverso», spiega Vincenzina Lucidi, responsabile del Centro Fibrosi cistica dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. «Inoltre, trattamenti farmacologici, fisioterapia respiratoria, regime nutrizionale controllato con enzimi pancreatici per migliorare l'assorbimento dei principi nutritivi e l'attività fisica mettono il ragazzo di fronte a un carico terapeutico di oltre due ore al giorno d'impegno, fattore che non possiamo trascurare».

Ma la scarsa compliance è rischiosa perché aumenta il pericolo di complicanze. Tra le ragazze, poi, incide il confronto con stereotipi sociali che remano contro la salute (la "pancia piatta", la magrezza) perché spingono verso un'alimentazione non adeguata e verso la mancata assunzione degli enzimi pancreatici, responsabili della progressione della malattia.

La terapia è invadente per quasi la metà dei ragazzi in termini di tempo (46%) e comunque imbarazzante da fare in pubblico (51%); inoltre interferisce con le cose che i giovani devono fare nella quotidianità (38%). Un 13% degli adolescenti riferisce di sentirsi triste e depresso (sempre e
quasi sempre).

Lavorare sull'autostima può aiutare a raggiungere il giusto compromesso tra vita quotidiana e terapia. «Sembra essere un costrutto centrale soprattutto nell'adolescenza», sottolinea Lucidi. «I dati Linfa dimostrano che vi è una stretta relazione tra autostima e componenti psicologiche della qualità della vita e che più è elevata l'autostima, nei rapporti personali/sociali e in termini della percezione di sé, più si registra aderenza alle terapie. È quindi fondamentale aiutare i nostri pazienti fin da piccoli a sviluppare l'autostima per imparare a gestire la propria malattia in modo consapevole e autonomo al fine di affrontare nel migliore dei modi l'ingresso nell'età adulta».

Famiglia e medici sono punti di riferimento fondamentali per la stragrande maggioranza degli adolescenti: supportati, aiutati e coinvolti anche nella scelta delle terapie.