Aziende e regioni

Oasi 2013: investimenti sempre in discesa e il Sud affonda. Si punta sugli immobili, innovazione dimenticata

di Eugenio Anessi Pessina (Università Cattolica del Sacro Cuore), Elena Cantù (Università Bocconi), Ilaria Vai (Università Bocconi)

Quanto investono le aziende sanitarie pubbliche in Italia? Come finanziano i propri investimenti? La spesa per il rinnovo e lo sviluppo tecnologico e infrastrutturale e le relative modalità di finanziamento sono state scarsamente monitorate e analizzate nel corso degli ultimi anni, malgrado l'evidente rilevanza del tema. In Italia, infatti, monitoraggi, analisi e dibattiti si concentrano quasi esclusivamente sulla spesa corrente ed eventualmente sugli investimenti finanziati da specifici programmi (es. articolo 20).

La ricerca pubblicata nel Rapporto Oasi 2013 intende contribuire a colmare questo gap conoscitivo, proponendo una prima stima, seppur necessariamente approssimativa, sul livello di spesa per investimenti all'interno del Ssn, sulla sua evoluzione e sulle relative modalità di finanziamento. L'analisi si basa sulla costruzione di un prospetto a partire dai modelli ministeriali "Ce" e "Sp" (conto economico e stato patrimoniale) delle aziende sanitarie pubbliche nel periodo 2004-10 e sulla costruzione di indicatori a livello regionale. Dall'analisi restano esclusi gli investimenti che, per la particolarità della fonte di finanziamento (es. leasing, project finance), non sono adeguatamente colti negli stati patrimoniali delle aziende.

I risultati mostrano che la spesa annua per investimenti assume valori intorno ai euro 59 pro capite a livello medio nazionale nel periodo 2004-2010 (cfr. tabella 1), pari al 3,5% della spesa corrente. Considerata l'inflazione, si tratta di una spesa in contrazione. Il dato nazionale, inoltre, non mostra l'estrema differenziazione interregionale.
Le regioni del Nord e del Centro registrano valori superiori o intorno alla media nazionale (i valori massimi sono in Emilia Romagna con euro 111 e nella Provincia autonoma di Trento con euro 105), mentre quelle del Sud si collocano sistematicamente al di sotto del dato medio nazionale, con valori minimi in Calabria (euro 20), Puglia (euro 29), Abruzzo (euro 31) e Campania (euro 32).

Benché contenuti, gli investimenti effettuati sembrano aver consentito alle aziende di accrescere il proprio stock di immobilizzazioni (con incrementi annui mediamente pari all'8%, cfr. tabella 1) e di compensarne, almeno in termini nominali, l'obsolescenza (l'indice investimenti netti/ammortamenti mostra infatti un valore medio nazionale pari a 1,71). Occorre però sottolineare tre elementi di criticità:
1) parte dell'incremento nel valore delle immobilizzazioni riflette semplicemente l'inflazione e l'evoluzione tecnologica;
2) gli indicatori si sono fortemente ridotti durante il periodo analizzato;
3) la riduzione degli indicatori riguarda soprattutto le immobilizzazioni diverse dai fabbricati, denotando un possibile rallentamento nell'ammodernamento del patrimonio tecnologico e nell'ingresso dell'innovazione all'interno del Ssn.

Rispetto alle modalità di finanziamento, le fonti dedicate (prestiti, ma soprattutto contributi in conto capitale) svolgono un ruolo fondamentale, ma non esclusivo (cfr. tabella 2). L'assunzione di prestiti rappresenta una fonte relativamente marginale di finanziamento, con un dato medio nazionale, nel periodo considerato, pari al 6% degli investimenti netti complessivi. In merito, risultano peculiari Emilia-Romagna e Toscana, dove il ricorso a questa fonte è stato pari a circa il 20%. Più consistente è la quota di investimenti netti finanziata dai conferimenti o contributi in conto capitale, che si attesta mediamente intorno al 59%, raggiungendo quote superiori al 70% nelle Province autonome di Trento e Bolzano, in Liguria e in alcune Regioni del Sud (Molise, Puglia, Basilicata, Sardegna).
Specularmente le incidenze più basse, inferiori al 45%, si rilevano in Emilia-Romagna e Toscana, nonché nelle Marche (cfr. tabella 3). Che il ruolo delle fonti di finanziamento dedicate resti fondamentale è quindi confermato sia dal loro peso relativo, sia dalla correlazione positiva con il volume complessivo gli investimenti netti. Nel contempo emergono, però, rilevanti ambiti di autonomia aziendale, sotto forma di impiego di liquidità esistente, di autofinanziamento e di ricorso ai debiti di fornitura. La liquidità esistente in azienda all'inizio dell'esercizio riveste un ruolo mediamente marginale, pari al 7% a livello nazionale nell'intero arco temporale considerato. Viceversa, non è trascurabile la quota di investimenti finanziata con la liquidità generata nel corso dell'esercizio dalla gestione reddituale. L'incidenza media nazionale di quest'ultima fonte è, infatti, del 14%, con picchi in alcuni anni e in alcune Regioni. La quota di investimenti finanziata incrementando i debiti verso i fornitori, infine, è quantitativamente analoga a quella coperta con liquidità generata dalla gestione reddituale.

Le Regioni che presentano l'incidenza più elevata del ricorso ai debiti di fornitura sono il Piemonte (29%), l'Emilia Romagna (24%), il Lazio (21%), l'Abruzzo (19%) e la Toscana (18%). Il fenomeno sembra, viceversa, più contenuto in Valle d'Aosta, Puglia, Marche, Friuli Venezia Giulia e Lombardia.

In conclusione, si possono proporre almeno tre ordini di considerazioni.
Primo, il livello centrale ha recentemente introdotto disposizioni (in particolare, l'ammortamento integrale nell'anno di acquisizione per i cespiti acquisiti utilizzando contributi in conto esercizio) tese ad arginare l'eccessivo ricorso al debito di fornitura per il finanziamento degli investimenti. Come tutti i vincoli "lineari", tuttavia, questa disposizione rischia di penalizzare eccessivamente la discrezionalità e l'autonomia aziendale, bloccando tutte le forme di investimento finanziate con risorse proprie. In questo modo verrebbe accentuata la progressiva contrazione degli investimenti, ponendo un'ipoteca sul futuro e generando un implicito debito sommerso, che emergerà in maniera progressiva nel momento in cui risulterà sempre più visibile l'obsolescenza delle strutture e delle tecnologie del Ssn.
Secondo, i vincoli al ricorso a risorse proprie aziendali, se confermati, dovranno trovare compensazione in una più ampia disponibilità di fonti di finanziamento dedicate (in particolare, contributi in conto capitale). Ci troviamo, infatti, in una fase in cui si rende necessario un profondo ripensamento dei servizi, a causa sia della congiuntura economica, sia del quadro epidemiologico in profonda trasformazione (crescente prevalenza di anziani fragili o non autosufficienti e malati cronici).

È, quindi, urgente incentivare la riorganizzazione dei servizi anche attraverso modifiche strutturali, con investimenti per la riqualificazione e il riadattamento degli spazi. Non si può, infatti, pensare di introdurre significative innovazioni (finalizzate anche a ridurre la spesa corrente) lasciando invariate le tecnologie e le strutture fisiche di erogazione.
Terzo, il riferimento alle fonti di finanziamento dedicate porta con sé il tema della "perequazione infrastrutturale", ossia di un sistema di finanziamento volto ad assicurare a ciascuna Regione strumenti e strutture adeguate per garantire i Lea. Si tratta, in altri termini, di superare la forte differenziazione interregionale nei livelli di investimento. Un eventuale sistema di perequazione infrastrutturale, peraltro, dovrebbe fondarsi su una solida base informativa che attualmente manca; dovrebbe venire attentamente disegnato, testato, governato e verificato nei risultati, per evitare sia la generazione di incentivi distorti, sia la proliferazione di sprechi e inefficienze; dovrebbe infine essere chiaramente orientato ai modelli assistenziali verso cui si vuole tendere (es. sviluppo dei servizi territoriali rispetto all'ospedalizzazione).

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