Sentenze

Oncologico di Bari: il medico può essere licenziato anche quando è andato già in pensione

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

La grave vicenda dell'Oncologico di Bari che ha coinvolto un primario, colpito da un pesante provvedimento disciplinare per gravi fatti compiuti in servizio, determinerà, comunque, il suo licenziamento, per giusta causa, ancorché nel frattempo il sanitario sia andato in pensione.
Per licenziamento per giusta causa si intende un’interruzione del lavoro che scaturisce dalla condotta del dipendente. L’interruzione avviene, in questo caso, con effetto immediato poiché l’evento che l’ha causata è ritenuto particolarmente grave.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo si verifica, invece, come conseguenza di un’inadempienza o una condotta negativa del dipendente, ma non talmente grave da causare un licenziamento in tronco. La principale differenza tra giusta causa e giustificato motivo soggettivo sta nella gravità dell’inadempienza da parte del lavoratore.
Nel caso, invece, del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la legge prevede che l’interruzione del lavoro avvenga solo in presenza di circostanze, appunto, oggettive e verificabili. In questo caso per fare un esempio, si fa riferimento ad una crisi nel settore di riferimento o ad una crisi economico-finanziaria.
Chiariti i diversi tipi di licenziamento, è opportuno indicare quali rientrano nella categoria di tipo disciplinare. Sono, appunto, quelli che hanno a che fare con la condotta del dipendente.
Come spiega l’Art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, tuttavia, per eseguire questi tipi di licenziamento il datore di lavoro deve seguire una procedura precisa. Nella sostanza tale procedura prevede l’affissione preventiva, in luogo visibile, del codice di condotta disciplinare. In secondo luogo la contestazione del comportamento al dipendente seguita dalla concessione di almeno 5 giorni di tempo al dipendente per addurre giustificazioni. La procedura prevede, inoltre, la partecipazione ad azione legale difensiva o al collegio di conciliazione ed arbitrato e per finire l’eventuale accettazione delle giustificazioni o il licenziamento.
Esiste poi, come potrebbe avvenire nel caso barese, la condizione di licenziamento anche quando il “ dipendente “ è già in pensione.
Per la Cassazione, va riattivato il procedimento disciplinare dopo la definizione di quello penale. La P.A. esercita il potere disciplinare anche se il dipendente sospeso è ormai in pensione. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 18944/2021 rigettando il ricorso di ex dipendente pubblico che aveva impugnato il licenziamento per giusta causa.
In tema di pubblico impiego contrattualizzato, qualora il dipendente sia stato sospeso in via cautelare in attesa della definizione del procedimento penale a suo carico, a conclusione dello stesso l'amministrazione è tenuta a riattivare l'iniziativa disciplinare nei confronti del lavoratore.
Ciò anche nel caso in cui il suddetto procedimento penale si sia chiuso con una sentenza di non luogo a procedere, ad esempio causa prescrizione.
Infatti, l'estinzione del reato non determina l'automatica archiviazione del procedimento disciplinare.
Potendo comunque risultare un inadempimento sanzionabile su tale piano.
L'interesse all'esercizio dell'azione disciplinare da parte della P.A. permane, quindi, anche nel caso in cui, nel frattempo, il dipendente sia stato collocato in pensione. Conclusione che si giustifica alla luce del fatto che il datore pubblico è tenuto a intervenire anche per salvaguardare interessi collettivi di rilevanza costituzionale.
Dunque, è onere del datore di lavoro attivare o riprendere l'iniziativa disciplinare al fine di valutare autonomamente l'incidenza dei fatti già sottoposti al giudizio penale e definire il destino della sospensione cautelare, legittimando, in difetto, la pretesa del lavoratore a recuperare le differenze stipendiali fra l'assegno alimentare percepito e la
retribuzione piena che sarebbe spettata in assenza della misura cautelare.


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